Debutta giovedì 16 novembre in prima milanese al Teatro Menotti dove rimarrà in scena fino a sabato 26 “Le Baccanti” di Euripide. La regia dello spettacolo è di Daniele Salvo, che ne è anche protagonista con Manuela Kustermann, Paolo Bessegato, Paolo Lorimer, Diego Facciotti, Simone Ciampi e Melania Giglio. Completano il cast Giulia Diomede, Giulia Galiani, Annamaria Ghirardelli, Francesca Mària, Silvia Pietta e Alessandra Salamida.
“Le Baccanti” rappresentano una finestra sull’irrazionale, su un mondo antico di reale libertà espressiva. La possessione dionisiaca è la protagonista che diventa una riflessione sul senso del divino nelle nostre vite e su ciò che nella nostra quotidianità viene rimosso. La parola antica è un grido proveniente da un altro tempo. E’ un appello alla riflessione e al risveglio dei sensi.
Teatro.Online ha intervistato Daniele Salvo, regista e protagonista dello spettacolo.
“Perché Le Baccanti rappresentano una finestra sull’irrazionale?”
“Perché il mondo di Dioniso rappresenta tutto ciò che c’è di oscuro in noi. Tutto quello che c’è di più celato in una dimensione che frequentiamo poco, in quel mondo nebbioso e sconosciuto molto caro a Giorgio Manganelli. La nostra società ci anestetizza quotidianamente, ci trasforma. In qualche modo promuove il nostro essere borghesi, il nostro vivere dentro alcune regole, il nostro essere normali. Dioniso invece propone un altro modo di vivere e un’altra dimensione. Infatti Dioniso viene dall’Asia. Quel continente allora era un mondo sconosciuto fatto di riti arcaici ed esoterici. E’ questo il senso di quest’affermazione”.
“In che modo quest’opera ci esorta a guardarci dentro?”
“La parola antica ci risveglia e in qualche modo ci scuote. Quindi mette come uno specchio davanti a noi, che ci obbliga a guardare questo mondo oscuro e nascosto. Un mondo che se vogliamo è anche scomodo e imbarazzante. Infatti noi nello spettacolo abbiamo fatto un lavoro anche sulla vocalità e sul suono. Un suono perturbante che riserviamo soprattutto ai nostri momenti più privati, alla malattia, al sesso, al parto. Quindi c’è un’idea di osceno inteso come lo vedeva Carmelo Bene. Un’idea di tutto quello che è tra le quinte e che non si vede, che c’è in noi e che però è poco frequentato”.
“Che tipo di trasformazione effettua Dioniso sulle Baccanti?”
“Dioniso arriva a Tebe, che è una città normale, e porta con sé le Baccanti, che sono delle donne invasate dal Dio e possedute. Nel testo c’è un itinerario molto preciso dei cori. Ogni coro è uno stadio diverso di possessione dionisiaca: dolce, violenta, furiosa, vista come ebbrezza. Le trasforma in animali, le rende languide e cagne. Però queste donne toccano una sensualità e una dimensione fisica sfrenata che sono proprio le cose che affascinano le donne tebane, che vanno con loro al monte a praticare questi riti. Vedendo queste Baccanti, tutte le donne tebane dicono: ‘Anch’io voglio praticare questo culto perché fa scoprire delle cose di noi meravigliose che fanno stare bene’. Quindi tutte queste donne tebane seguono le Baccanti al Monte Citerone. Si tratta di un luogo meraviglioso e nebbioso in cui avvengono dei riti non meglio definiti e che quindi apre dei mondi a queste donne asiatiche”.
“Dov’è Dioniso oggi?”
“Dioniso oggi sta nascosto in tante pieghe. Delle Baccanti si potrebbero fare 200 regie, se non di più. Negli Anni Settanta davanti alle stazioni c’erano i drogati in crisi di astinenza che cercavano lo sballo. Dietro c’era Dioniso. Oppure gli stati della malattia in cui si tocca una consapevolezza particolare o un’illuminazione nascondono Dioniso. Dioniso si nasconde anche nei casi di femminicidio in cui improvvisamente in una coppia, dopo 40 anni di matrimonio, l’uomo dà fuoco alla donna e succedono delle cose terrificanti. Anche in questi casi c’è un Dioniso celato e tenuto a bada per anni. Però a un certo punto esplode, perché, ricordiamocelo bene, Dioniso fa scoprire qualcosa di noi, ma porta anche la morte. Anche nello spettacolo il protagonista viene squartato e decapitato. Quindi è come un’ebbrezza, qualcosa di meraviglioso che però poi, alla fine, porta la morte”.