La sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini di Milano presenta fino a domenica 4 dicembre “L’eclisse” di Joyce Carol Oates. Lo spettacolo è diretto da Francesco Frongia. Ne sono protagonisti Ida Marinelli, Elena Ghiaurov, Cinzia Spanò e Osvaldo Roldan. I costumi sono di Ferdinando Bruni.
Dopo “Dissonanze”, messo in scena nel 2010, il regista Francesco Frongia torna a indagare la drammaturgia della scrittrice americana Joyce Carol Oates. Per farlo sceglie l’atto unico intitolato “L’eclisse”, apparso anch’esso nel volume “Nel buio dell’America” pubblicato da Sellerio. “L’eclisse” è un dramma in otto scene che inizia in un interno borghese. Due donne rientrano dal supermercato dove hanno fatto la spesa. Sono una madre e una figlia. Muriel è una stravagante ex professoressa di scienze e Stephanie, sua figlia, un’attivista che lotta per la formazione di un partito politico femminile.
Teatro.Online ha intervistato Francesco Frongia, regista dello spettacolo.
“Perché in L’eclisse lei invita il pubblico a spiare questa storia come si farebbe dal buco della serratura?”
“Perché è una storia intima. I personaggi si lasciano molto andare a una verità e ad attimi molto privati. Per cui lo faccio soprattutto per invitare il pubblico a una certa vicinanza, a immaginarsi di seguire i momenti privati di una storia. Quindi sono dei momenti che normalmente sembrerebbero non particolarmente significativi. Ad esempio nella prima scena de L’eclisse madre e figlia tornano a casa dopo avere fatto la spesa, quindi sembrerebbe una situazione quasi normale. Quello che succede è particolarmente significativo per descrivere quello che va al di là di quello che viene detto. Quindi l’idea del mio invito sta in questo”.
“Che cosa divide queste due donne?”
“L’impossibilità di trovarsi su uno stesso terreno, di confrontarsi con le stesse regole. Una persona affetta dall’Alzheimer o che ha problemi psichici indubbiamente vede il mondo in modo diverso. L’incapacità da parte della figlia di leggere all’inizio i segni della malattia le impedisce di avere una relazione con la madre che tenga conto dell’impossibilità di capirsi. Da lì vengono fuori tutte le storie private, tutto il passato, tutti i ricordi che hanno in qualche modo segnato la tappa della loro vita in comune”.
“In L’eclisse il rapporto tra genitori e figli diventa uno scontro. Ma è quello che divide le generazioni?”
“No, non è soltanto quello. Lo è anche, perché indubbiamente la madre rinfaccia alla figlia di essere stata una femminista prima ancora che il femminismo esistesse, di aver raggiunto l’emancipazione e di aver lottato per essa prima ancora che si iniziasse a pensare al concetto di lotta per i diritti delle donne. La figli, si trova a dover affrontare la madre e a rinfacciarle in qualche modo di averla cresciuta, di volerle dare un futuro migliore di quello che lei aveva avuto. Ma poi nel momento in cui vede la figlia raggiungere dei risultati importanti glieli rinfaccia. Così crea un ulteriore conflitto, perché questo ovviamente genera insoddisfazione da parte della figlia. Da parte della madre, invece, è l’impossibilità di accettare la figlia. Quindi è la quasi totale incomunicabilità”.
“Che tipo di dipendenza affettiva lega madre e figlia?”
“La dipendenza affettiva sta nel fatto di sentirci in qualche modo obbligati. I figli subiscono involontariamente in alcuni casi una specie di ricatto da parte dei genitori. Un ricatto che riguarda il fatto di doversi sentire in obbligo di occuparsi di loro. Ma è la difficoltà da parte della figlia di trovare il modo di vivere la propria vita nonostante il rapporto che la lega alla madre. In più, tra questi due personaggi ci sono un passato, un non detto, un padre che manca. Quindi una figura di riferimento che la figlia cerca ossessivamente di scoprire. Ne ha bisogno per poter in qualche modo chiudere la propria storia personale”.