Ljuba e suo fratello Gaev, un tempo felici quando erano bambini, tornano da adulti nel luogo della loro infanzia. Il simbolo della gioia è ormai diventato l’emblema di una felicità appassita. Il giardino dei ciliegi, che un tempo produceva frutti commerciabili ed era sinonimo di ricchezza, è la triste ombra di un passato destinato a non tornare. Le speranze, le aspettative, la gioventù, l’amore e i sentimenti positivi legati a quel luogo sono svaniti per sempre.
Il giardino dei ciliegi, capolavoro di Anton Cechov, è in scena al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano in prima nazionale fino al 26 febbraio. Lo spettacolo è adattato e diretto da Rosario Lisma, che ne è anche protagonista con Milvia Marigliano, Giovanni Franzoni, Eleonora Giovanardi, Tano Mongelli e Dalila Reas. La partecipazione in voce è di Roberto Herlitzka.
Parla Rosario Lisma
Che lavoro di adattamento hai fatto sul testo di Anton Cechov?
Ho eliminato i personaggi secondari perché volevo concentrarmi sul nucleo centrale della trama e l’ho declinato sul contemporaneo eliminando i telegrammi e l’orchestrina ebrea. Alla fine mi reso conto che l’impianto drammaturgico rimaneva abbastanza fedele. Ho cercato di fare una traduzione letterale dal russo per far venire fuori quello che l’autore aveva scritto. Ho fatto raccontare certe scene sui servitori a Varja, il personaggio che se ne occupa, per riferire la sua frustrazione e la sua pignoleria nel trattarli. Sono piccoli raccordi per cercare di essere il più possibile fedele al testo e per renderlo il più parlato possibile, senza svolazzi lirici. Ho lasciato alcune frasi poetiche per far parlare i personaggi come parleremmo noi oggi.
Il disagio esistenziale dei personaggi è il risultato di una miopia sulla realtà o sulla condizione di una società?
E’ la stessa cosa perché la loro condizione è la realtà e la realtà in cui sono calati è la loro condizione. Questi personaggi sono però gli esseri umani di ogni epoca, soprattutto della nostra. Sono pieni di sogni e del desiderio di felicità, ma si scontrano con una realtà che non li soddisfa. Da lì parte la dispercezione del reale, come direbbero gli psicanalisti.
Questo porta i protagonisti a un immobilismo?
Esatto, che nasconde però un valore: Cechov è un autore che non giudica né condanna i suoi personaggi, con loro è sempre affettuoso. Secondo me, c’è una forza uguale e maggiore: l’attaccamento all’effimero, all’identità del passato e all’amore che li porta alla perdizione, come Ljuba che ha nel suo nome proprio il significato dell’amore. Sono cose irrazionali che non si possono calcolare o compare. Penso che non siano solo sciocchi aristocratici ma che abbiano anche ragione. E’ però struggente pensare che la loro ragione sia folle.
Nello spettacolo c’è la voce di Roberto Herlitzka. Che valore aggiunto ha dato il talento vocale di un attore così grande?
Ho pensato che Firs, anima grande e nume tutelare della casa e del palcoscenico, potesse essere rappresentato non solo dalla voce di un bravo attore, ma dall’emblema di un teatro che forse non c’è più. Ho avuto la fortuna di incontrare Roberto Herlitzka durante la realizzazione di un audiolibro in cui l’ho diretto, Il canto di Natale, e ho visto un uomo con un grande desiderio di recitare. Mi sono francamente commosso e perciò, quando ho pensato a Firs, gli ho chiesto se voleva fare la voce. Lui è stato ben contento. Non vedo l’ora di invitarlo a Roma a vedere lo spettacolo!
- Si ringrazia Linda Ansalone
- Foto in evidenza di Laila Pozzo
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