L’OMAGGIO DI MASSIMILIANO LOIZZI A GIORGIO GABER

Essere il signor G

Dopo il successo di Il matto ovvero Io non sono Stato e Il Matto 2 – Per non dimentiCarlo, il talentuoso Massimiliano Loizzi torna al Teatro della Cooperativa di Milano con Io ed Io in scena dal 31 marzo al 9 aprile. Si tratta di uno spettacolo di TeatroCanzone ispirato al mondo, alla musica e alla poesia di Giorgio Gaber. Il racconto di una vita straordinaria prende corpo sul palcoscenico attraverso le canzoni del Signor G. Un monologo in bilico fra satira e poesia, musica e parole, riflessione e divertimento.  In scena, oltre a Loizzi accompagnato dal maestro Giovanni Melucci, ci sono gli altri componenti dei Mercanti di Storie: Stefano Fascioli al contrabbasso e Massimo Marcer alla tromba.

La parola a Massimiliano Loizzi

“Come mai ti ha affascinato così tanto la figura di Giorgio Gaber?”

La sua poetica ha un fascino indiscutibile. Inoltre avevo il desiderio di restituire tutto quello che gli abbiamo rubato in questi ultimi 30 anni. Con i Mercanti di Storie abbiamo fatto spettacoli di TeatroCanzone che attingevano al meraviglioso e incredibile patrimonio di Gaber e Luporini. Anche tanti altri artisti hanno fatto la stessa cosa. Mi sembrava quindi doveroso fare uno spettacolo con le sue canzoni e i miei monologhi in cui restituirgli quello che abbiamo preso da lui. 

“In questo spettacolo racconti anche un pezzo di storia italiana. Significa che c’è anche quella connotazione politicamente e socialmente impegnata a te tanto cara e che hai inserito anche nei tuoi spettacoli?”

Certo. E’ un aspetto di cui non potrei mai fare a meno. Mi sono umilmente messo a confronto con Gaber cercando di dire la mia su quello che succede adesso nel Paese. A un certo punto dello spettacolo c’è un piccolo racconto in cui parlo del suicidio di un mio compagno di scuola. E’ una storia vera, accaduta soprattutto perché questo ragazzo viveva la sua sessualità in modo difficile. Io immagino un dialogo nella mia testa in cui 25 anni fa parlo con il mio amico dicendogli che le cose cambieranno, che non ci si troverà più a dover essere a disagio nella società per le proprie inclinazioni sessuali, che tra 30 anni non ci saranno più né la Democrazia Cristiana né “Domenica In”. 

Lo spettacolo racconta la mia autobiografia un po’ romanzata. Poi parlo dell’Italia degli Anni Ottanta  e Novanta. Credo che il modo migliore per raccontare il generale e l’universale sia partire da se stessi. Chiaramente ci sono episodi che con la satira fanno riferimento alla storia italiana di quel periodo. Questa era anche una prerogativa di Gaber, perché quando si pensa al TeatroCanzone lo si accosta inevitabilmente alla satira. Renato Sarti, il direttore del Teatro della Cooperativa, mi ha detto una cosa che mi ha aperto gli occhi: quando Gaber venne escluso dalla televisione come successe ad altri grandi personaggi, lo si andava a vedere a teatro per sentire quello che aveva da dire. L’obiettivo era conoscere le sue idee su Milano e la società del momento. 

Gli anni Ottanta e Novanta sono stati  un momento in cui era più facile capire chi erano i buoni e chi erano i cattivi. C’era un muro che definiva le cose. Gaber lo spiega molto bene nella canzone “Destra e Sinistra”.

“Perché e in che modo parli anche di uno scontro generazionale?”

Gaber diceva: “La nostra generazione ha perso”. Allora ho voluto capire cos’era successo. Io sono nato nel 1977. La mia è una generazione un po’ strana in cui, metaforicamente parlando,  sono i padri ad ammazzare i figli. Nella mitologia classica dovrebbero essere i figli ad ammazzare i padri. Questo non è accaduto, sia perché i padri sono attaccati al potere sia perché hanno fatto la rivoluzione negli Anni Sessanta. La mia idea è stata dunque quella di creare un passaggio di consegne. Io canto le canzoni di Gaber e allo stesso tempo parlo di me e del mio Paese. Ho messo insieme queste due anime e queste due generazioni per vedere cosa succede. 

Il cuore dello spettacolo, però, è il momento in cui racconto di mio padre scomparso. Nel testo c’è  un episodio legato a lui che rappresenta lo scontro di una generazione che ha perso e sognato. Questi sogni si sono trasformati in illusioni e speranze perdute. Il dialogo con mio padre diventa anche un po’ un discorso tra me e Gaber in cui dico che per parlare del mio Paese sono costretto a cantare delle canzoni non mie ma di uno dei miei padri.

Cerco di fare i conti con questo scontro, di trarre delle conclusioni e di prendere il testimone del TeatroCanzone. A quel punto lo spettacolo non è più solo un omaggio, ma il tentativo di portare avanti la storia raccontata da Gaber. E’ un peccato che i ragazzi di oggi non lo conoscano e non lo ascoltino. L’attualità delle sue canzoni è dovuta al fatto che questo Paese non cambia mai. Il dialogo nella mia mente cerca di raccontare questo aspetto.

“Quanto spazio c’è per l’improvvisazione nel tuo monologo?”

L’improvvisazione è per me un tratto fondamentale. Questo è uno spettacolo più circoscritto e definito. Però ci sono delle parti a cui io non so rinunciare. Il teatro mi diverte ed è giusto che sia vivo. Il rapporto diretto per me è imprescindibile, perché crea un legame fra il pubblico e me a cui non voglio rinunciare. Prima parlavo della canzone “Destra e Sinistra”: a un certo punto divido proprio il pubblico tra Destra e Sinistra in un gioco metateatrale. Inoltre faccio cantare agli spettatori “Libertà è partecipazione”. Se poi nei monologhi colgo un sguardo particolare, non riesco a non reagire. E’ allo stesso tempo un mio difetto e una mia virtù.

(intervista e riprese video di Andrea Simone)