“COME IL CANE SONO ANCH’IO UN ANIMALE SOCIEVOLE”

E’ uno dei primi esempi di narrativa post-apocalittica: La peste scarlatta, scritto nel 1912 da Jack London, è ambientato nel 2070 e ci racconta le conseguenze distruttive di un’epidemia di proporzioni mondiali che nel 2013 ha sterminato l’umanità. L’aspetto peggiore descritto da London non è soltanto la sparizione del genere umano ma la regressione dei pochi rimasti a uno stadio neo-primitivo. L’opera presenta una singolare coincidenza con il nostro passato più recente e il futuro prossimo, e contiene temi e suggestioni di grande attualità. A quel romanzo di oltre cent’anni fa è ispirato lo spettacolo Come il cane sono anch’io un animale socievole, al Teatro Filodrammatici di Milano fino all’11 marzo. Una creazione collettiva, ideata, diretta e interpretata da Massimo Navone, Emanuele Aldrovandi, Luca Cattani, Cecilia di Donato, Marco Maccieri e Angela Ruozzi.

Quattro domande a Marco Maccieri e Massimo Navone

“Oltre a recitare nello spettacolo, Marco Maccieri ha partecipato anche alla stesura del testo e alla regia? Glielo chiedo perché mi colpisce molto la coralità dell’opera”.

Marco Maccieri: “E’ una bellissima domanda. Quando abbiamo cominciato questo progetto che ci ha presentato il regista Massimo Navone, la sorpresa consisteva anche nel modus operandi: abbiamo pensato di scrivere uno spettacolo tutti insieme sotto la sua guida e di metterlo in scena collettivamente. E’ stata una vera e propria ricerca: abbiamo tentato di sperimentare una formula teatrale che noi non avevamo mai visto ma che Massimo aveva intuito. Tutti insieme ci siamo dedicati alla scrittura, alla messa in scena e al reperimento di materiali. Ci siamo immersi per tanto tempo nei testi di Jack London, quindi ognuno di noi ha una piccola parte e una piccola responsabilità in questo spettacolo. Massimo ha sempre avuto uno sguardo più ampio e più preciso. Noi abbiamo elaborato e usato i materiali che lui ci forniva. Abbiamo fatto parte del processo creativo, ma sempre sotto una guida molto precisa”.

“In che modo interagite con il pubblico?”

Massimo Navone: “Il pubblico è il primo destinatario della spettacolo. L’idea è quella che gli attori facciano da tramite tra il romanzo di Jack London e la platea. Quindi non si tratta di un adattamento teatrale del racconto, ma di un confronto reciproco rispetto alle situazioni proposte dal romanzo. In alcuni momenti gli attori fanno delle domande al pubblico, che ritornano poi nelle sequenze successive sulla scena. Altre volte il pubblico vota addirittura soluzioni di comportamento rispetto a situazioni che si creano durante lo spettacolo. In base alle risposte degli spettatori, gli attori scelgono una direzione piuttosto che un’altra. Dunque alla fine diventa una sorta di incontro corale con il mondo di Jack London”.

“Quanto si somigliano o quanto sono diverse le risposte che gli spettatori danno alle vostre domande replica dopo replica?”

Marco Maccieri: “Una parte è molto diversa e questo è uno degli aspetti più belli dello spettacolo. Anche se noi non mettiamo mai a disagio il pubblico, gli chiediamo di assumersi una piccola responsabilità: quella di scegliere. Quindi l’immaginario che rientra nello spettacolo viene creato da loro. Questo varia molto serata dopo serata. Pensa che durante lo spettacolo noi chiediamo se qualcuno possiede un’arma di difesa personale: a Varese un signore ci ha risposto che aveva una spada e questo ci ha molto stupiti. Quindi può succedere di tutto, è molto divertente. C’è poi una parte più coerente in tutte le repliche che abbiamo fatto: il modo di reagire a un disastro che noi cominciamo a raccontare con “La peste scarlatta”. 

“Che cosa vi ha colpito di più del romanzo di Jack London?”

Massimo Navone: “La sua attualità sconcertante. E’ uno dei primi esempi di narattiva post-apocalittica. L’aspetto curioso è che è ambientato tra il 2013 e il 2070, quindi coglie in pieno la nostra attualità. London ha concepito una storia proiettata nel futuro che è il nostro presente. E’ sorprendente vedere la grande lucidità cognitiva di questo autore straordinario che andrebbe riscoperto, perché spesso, secondo me, viene soltanto conosciuto come l’autore di ‘Zanna bianca’ e ‘Il richiamo della foresta’ , che sono due romanzi bellissimi. La sua produzione però è sterminata e abbraccia generi molto diversi tra loro, come i suoi saggi di carattere sociologico e antropologico nei quali aveva dimostrato davvero una grande lungimiranza”.