“IL CUSTODE”, IL DRAMMA DEGLI EMARGINATI

Un uomo, Davis, e due fratelli, Mik e Aston; una stanza desolata in un caseggiato ancora più desolato di un quartiere periferico della metropoli più estesa d’Europa. A riscaldare l’atmosfera e l’ambiente solo oggetti personali e suppellettili ammassati però alla rinfusa. Aston è più sereno se si nasconde tra le cose; Mik non ha altri da sottomettere o intimidire; Davis è troppo fragile e pavido per andarsene e rimarrà per sempre uno schiavo incapace di fuggire al proprio destino. Tutto è destinato a rimanere così: immobile e immutevole.

Riccardo Magherini porta in scena fino al 18 febbraio al Pacta Salone di Milano Il guardiano di Harold Pinter. Ne sono protagonisti lo stesso Riccardo Magherini, Fabio Banfo e Antonio Rosti.

La parola a Riccardo Magherini

“Perché i personaggi non hanno alcuna possibilità di redenzione?”

“Perché gli esseri umani di Pinter non hanno possibilità di vedere al di là di quello che conoscono. Sono spaventati da tutto quello che c’è al di fuori di questo confine. Quindi organizzano tutta la propria vita e il proprio futuro basandosi sulle loro idee preconcette. La prima cosa che Pinter ci fa vedere rispetto a questo problema è proprio la paura che hanno rispetto al diverso e a tutto ciò che è sconosciuto: in questo caso, uno dei due fratelli porta in casa Davis perché sente il bisogno di una compagnia, però non riesce a comunicare con lui, dunque non ha la possibilità di sperimentare altro e di uscire da un luogo conosciuto per andare altrove e magari salvarsi”.

“La cosa peggiore è che non solo non hanno alcuna possibilità di redenzione, ma non hanno nemmeno voglia di cercarla. Sembrano molto rassegnati, giusto?”

“Esatto, non vogliono nemmeno prendere in considerazione la possibilità che un indiano non sia per forza nero e sporco. Per loro è un indiano nero e sporco. Punto. Non vogliono sapere altro. C’è da parte loro una pericolosa mancanza di impegno e buona volontà”.

“Quanto siete rimasti fedeli al testo originale di Harold Pinter?”

“Moltissimo. Con la traduzione di Alessandra Serra abbiamo cercato di scrivere un testo in un italiano capace di restituirci il suono originale della lingua inglese di Pinter. Poi naturalmente il tentativo è stato anche quello di una ripulitura di alcune parole, che forse in inglese suonano in un certo modo, ma che in italiano hanno un altro significato, come le famose e lunghissime ripetizioni pinteriane. In qualche caso, dette nella nostra lingua non hanno la stessa funzione che in inglese. Siamo stati anche molto fedeli nel cercare la lingua dei tre personaggi, mettendo da parte i nostri slang metropolitani. Ognuno dei tre ha una grammatica italiana specifica e personale: quella di Davis è completamente priva di sintassi e piena di errori evidenti e fastidiosi da sentire; Aston invece si esprime con un linguaggio molto rigoroso e preciso; infine Mik rappresenta una via di mezzo tra i due, perché usa fraseggi molto tecnici e speciali per poi sbagliare anche lui i congiuntivi.

Ci siamo un po’ allontanati dalle didascalie di Pinter, ma solo per cercare la nostra verità e la nostra realtà: molti oggetti sono stati sostituiti con altri più comuni alla nostra vita quotidiana. Alcune azioni sono state rimpiazzate in relazione a questa nostra scelta, ma siamo sempre rimasti fedeli alle indicazioni di Pinter e a quello che l’autore vuole che succeda. Ogni oggetto ha una propria valenza rispetto alla storia che noi raccontiamo”.

“In che modo la scenografia di Fulvio Michelazzi ha trasformato il luogo fisico della stanza dov’è ambientato lo spettacolo in un ‘non luogo’?”

“L’idea è stata quella di collocare nella stanza oggetti realistici e di non mettere mura. Abbiamo alzato una parete fatta soltanto di stecche di legno, come se fossero cornici che servono per tenere in piedi le quinte del teatro. Però sono completamente bucate e libere, quindi permettono di vedere dietro. La stanza è situata in un luogo scuro, un ‘non luogo’ dove si intravvedono i personaggi che non sono in scena in quel momento ma che entreranno, che ogni tanto si palesano e osservano ciò che accade nel ring creato dagli oggetti concreti e veri. I due fratelli si alternano nel limbo e guardano quello che succede all’interno. L’obiettivo è quello di dare una potenza più autentica alla costante minaccia sempre presente nelle sue commedie e nei suoi drammi”.