ALDST è un acronimo che significa Al limite dello sputtanamento totale. E’ però anche il titolo di uno spettacolo. E’ un manifesto generazionale che strizza l’occhio alla stand-up comedy. In un monologo polifonico che vede protagonisti diversi personaggi, l’attrice Viola Marietti si mette a nudo con scarna semplicità e riflette sulla nostra generazione. Il linguaggio è scarno, diretto e grezzo; i contenuti violentemente espliciti.
ALDST è in scena dal 2 al 4 febbraio al Teatro Fontana di Milano. Il testo è della stessa Viola Marietti, che ha anche firmato la regia con Matteo Gatta.
Intervista a Viola Marietti
Chi e come sono i personaggi che fai parlare nel tuo monologo?
Sono filtrati dal punto di vista della protagonista, quindi un po’ estremizzati. Orbitano intorno alla sua vita ordinaria e poco interessante, e fanno parte della sua famiglia: sorelle, nonne, madri, padri, amiche, compagne di sbronza, fidanzati assenti e amici immaginari che redarguiscono le sue inettitudini. Costituiscono il “parco interlocutori” di una ragazza alle prese con un malessere.
Sono tutti fastidiosi ed escono male dallo spettacolo, che è la rielaborazione autobiografica di un periodo di depressione. La protagonista ragiona sulla condizione esistenziale e su un momento della vita di persone giovani smarrite dal punto di vista identitario, lavorativo, sociale e sentimentale. Tutti questi personaggi sono quindi grotteschi ed estremizzati nelle loro qualità negative. C’è per esempio un padre con una sordità neurologica estremamente lento e ottuso; una sorella petulante che si paragona continuamente alla protagonista; una nonna rimbambita, una mamma drama queen e un amico rompiscatole. Il mio personaggio è il primo a vivere queste situazioni in maniera sofferente perché attraversa un momento di autocommiserazione, depressione e grande infelicità.
Puoi spiegare al pubblico chi è Sarah Kane, perché hai deciso di omaggiare questa figura nel tuo spettacolo e che cos’è una wannabe?
In questo caso la wannabe è una a cui piacerebbe essere Sarah Kane, un’importantissima drammaturga inglese degli anni Ottanta, che rientra nella cerchia dei cosiddetti “inglesi incazzati”. E’ stata una delle più grandi pioniere di una scrittura molto introspettiva, patologica e caratterizzata da un flusso di coscienza che tocca direttamente i temi della depressione, della nevrosi e della patologia. Ovviamente la mia versione non ha questa pretesa e utilizza un linguaggio autoironico e demenziale, pur affrontando lo stesso tema.
Sembra che il testo di questo spettacolo sia molto poco consolatorio e lasci scarso spazio alla speranza. Posso augurarmi di sbagliare ipotizzando che ci sia anche un po’ di ottimismo?
Dipende. Io sono abbastanza spietata nel tratteggiare un’idea di speranza e aspettativa nei confronti di un futuro umano e spirituale. A un certo punto mi sono ritrovata a essere estremamente cinica perché non trovavo una soluzione realistica che fosse positiva. L’unica speranza che riesco a intravedere è che questo immenso malessere generazionale venga controbilanciato da una libertà e da una leggerezza nel portare la croce. Penso che però – prima di vedere la luce alla fine del tunnel – si debba affrontare interamente la via crucis senza sconti.
E’ solo la nuda e cruda realtà ad averti dato l’ispirazione e gli spunti giusti per questo spettacolo o ci sono anche altri elementi?
Ti rispondo citando Pasolini: “la realtà non ha assolutamente nulla di naturale”. Se le osserviamo bene, le nostre vite non hanno niente di realistico e di normale. Il tema dello spettacolo è proprio il tormento generato dalla normalità. A fare la differenza è il nostro punto di vista.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringraziano Chiara Palumbo e Giorgio Ghiotti per la collaborazione
- Clicca QUI per iscriverti al canale Youtube di Teatro.Online e vedere tutte le nostre interviste video