Renzo Martinelli, “Esequie solenni”

Due donne in una stanza. Due vedove. Leona deve andare al funerale del suo compagno appena scomparso. Si stanno preparando esequie solenni e lei non sa che fare. Chiede così consiglio a Franca che ha perso il marito molti anni prima…

Renzo Martinelli dirige Elena Arvigo ed Emanuela Villagrossi in Esequie solenni di Antonio Tarantino, in scena al Teatro i di Milano dal 20 ottobre all’8 novembre.

La parola a Renzo Martinelli

Che cosa turba di più le due protagoniste? La perdita dei loro uomini o la tragedia della storia di quegli anni?

La bellezza del testo di Tarantino sta nella verosimiglianza e nel rapporto di queste due attrici con due uomini importanti: sono donne sole e solo donne. Quindi, a un certo punto dello spettacolo, essendo vittime della ragion di Stato, sono donne qualsiasi del 1964. La pièce è ambientata nel 1964, anno della morte di Palmiro Togliatti,. Nell’ipotesi di un incontro che non c’è mai stato Leona, cioè Leonilde Jotti, va a casa di Franca, ovvero Francesca Romano, la moglie di Alcide De Gasperi, e quello che ne esce è l’attualità di un tempo presente, cioè il rapporto tra di loro nel contesto storico di quegli anni. Emerge quindi uno spaccato molto presente e contemporaneo di un problema sui rapporti: soprattutto Leonilde Jotti deve trovare una via d’uscita attraverso il rapporto con Franca.

I sentimenti delle protagoniste sono sopraffatti dalle vicende politiche?

In parte sì. Non è un caso che siano esequie solenni, perché è appena morto De Gasperi. Rispetto alla tua domanda di prima, la questione si sposta un po’. Il compito della regia è quello di trovare la verità del testo che sta nel leggere bene tutte le carte. Antonio Tarantino dice una bella cosa: “che stupido che sono a non averlo capito. Anche il drammaturgo fallisce perché ignora la cosa più importante: il finale di ogni maledetto dramma è sempre scritto da qualcun altro.” In questo senso, il tentativo del piano di regia è quello di consegnare anche allo spettatore una possibile via d’uscita. C’è da una parte il lato più cronachistico della questione e dall’altra il rapporto più intimo nei ruoli per trovare il fatto di non essere eterodiretti.

L’Italia diventa per Franca e Leona una pantomima da cui fuggire?

Esatto, hai ragione. La bellezza del testo è tutta qui. C’è un contesto dentro al quale esiste un paradigma. Sotto una storia ce ne sono tante altre ancora: l’universalità del testo consiste in questo aspetto. Per la prima volta Antonio Tarantino usa una lingua molto più aulica rispetto alla sua poetica, senza però perdere quest’universalità e questo concetto di verosimiglianza. Il contesto è meno importante rispetto a questo gioco di relazioni della caduta delle ideologie.

Essere vive è stato per Franca e Leona un prezzo da pagare per liberarsi di una disgrazia?

In qualche modo sono antagoniste. E’ una bella storia d’amore dentro a un thriller. Franca consegna una possibilità, come se fosse allo specchio con Leona, grazie a una strategia che mette in atto. E’ la dicotomia tra carne e spirito. Leona può trovare un qualcosa solo attraverso il dialogo con Franca e oscurarla nel futuro, nel senso che noi non sappiamo cosa succede. L’universale slitta sulle dinamiche delle due donne e il dato cronachistico è lo sfondo di questo aspetto.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto di Costanza Genolini da un’opera di Riccardo Garolla
  • Si ringrazia Maria Gabriella Mansi per la collaborazione
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