Uno spettacolo che prende spunto dalla storia personale della dj palestinese Sama Abdulladi, che grazie alla Boiler Room diventa virale e conosciuta come “The palestinian Techno Queen”. Boiler Room – Generazione Y ci fa domande su un’intera generazione, sulle sue speranze, le disillusioni, i suoi successi e i fallimenti.
La performance, creata e interpretata da Ksenia Martinovic, è in scena al Teatro Litta di Milano per una sola data, il 30 settembre, e vede sul palco anche Federica D’Angelo, Alessia Genchi, Matteo Prosperi e Margherita Varricchio.
Quattro domande a Ksenjia Martinovic
Chi era Sama Abdulladi, la figura da cui nasce il vostro spettacolo?
E’ una dj palestinese che conoscevo già prima di iniziare il progetto. Dopo uno studio approfondito su che cos’è una boiler room e su cosa volevo raccontare, mi è sembrata un personaggio molto importante. Per me è un’eroina contemporanea in tutti i sensi, perché è una dj donna palestinese che, attraverso il proprio lavoro, racconta una situazione politica molto importante. In 48 ore è’ diventata virale in Palestina grazie alla boiler room. Quindi anche il discorso della musica in streaming e del racconto di qualcosa di importante che ne deriva mi sembrava molto pertinente rispetto agli argomenti principali dello spettacolo.
Che cos’è la Boiler Room da cui nasce il titolo?
Debutta nel 2010 ed è formata da dj che suonano in luoghi inizialmente molto piccoli. Ora sono molto più numerosi e capienti, quindi ospitano più gente. L’aspetto interessante è però che il dj suona davanti a una telecamera, dunque non ha nessuno davanti a sé o quasi. I boileristi scelti, che sono riusciti a prendere i biglietti, stanno dietro di lui, ma l’evento viene trasmesso interamente in streaming. Quindi si può ascoltare la musica nelle proprie case e sembra che il dj suoni per una persona. La particolarità dell’evento è questa. Nasce quindi la domanda che porta a chiederci quanto facciamo veramente parte di qualcosa, perché chi si trova nella boiler non ha il dj per sé e non lo vede nemmeno. Anzi dà le spalle al proprio pubblico. Invece sembra che chi sta a casa partecipi veramente a qualcosa, però di fatto non è presente nella boiler room.
Quali sono le caratteristiche della generazione che descrivete?
Questo è l’aspetto che mi interessava di più. La generazione Y comprende i nati tra il 1982 e il 1995. Tra loro ci sono anch’io. Nasce nel momento storico del passaggio al digitale, ma è diversa dalla generazione Z che è nata con il cellulare in mano. Noi ci collochiamo a metà e siamo quelli che fanno più fatica a gestire il modo in cui dobbiamo apparire. Siamo stati i primi a scoprire la globalizzazione tecnologica. Mi interessava molto raccontare questo aspetto attraverso il parallelismo della musica techno. Quando si va a ballare con questo tipo di sound, si sta in mezzo agli altri ma lo si fa per vivere una propria esperienza personale con la musica. Spesso si viene anche “aiutati” dalle droghe.
Nella performance non parliamo in maniera esplicita degli stupefacenti, però affrontiamo molto il tema di Mark Fisher e dell’edonismo depressivo. Fisher sosteneva che la nostra è una società che cerca continuamente il piacere. Quindi il contesto mi sembrava molto giusto.
Che cosa significa che questa è un’opera “site specific”?
Lo è perché mi interessava moltissimo la malleabilità del luogo e della struttura. Le uniche cose molto importanti a nostra disposizione sono il video e la musica. Per me il fatto di dare al pubblico la possibilità di essere assolutamente libero di muoversi come vuole è una questione politica. Infatti è uno spettacolo dove si può stare in piedi o seduti, non è una classica pièce teatrale. E’ stato concepito per una rappresentazione sia all’aperto che al chiuso, proprio come sono state pensate le boiler room. L’aspetto performativo interessante è che la gestione dello spazio libero è difficile. La coreografa ed io abbiamo costruito un percorso dove i performer si muovono in base alle modalità di distribuzione del pubblico. Questo significa dare una grande libertà agli spettatori, che vedono le coreografie fisse, ma possono collocarsi liberamente nello spazio.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione