Un’attrice sfoglia giornali, libri, naviga sul web per raccogliere uno dopo l’altro frammenti di una storia a lungo taciuta. Una biografia ricostruita come un puzzle a cui mancano molte tessere. E’ la storia della vita, l’ennesima, di una scienziata la cui intelligenza e le cui scoperte sono state messe in secondo piano, quasi occultate a vantaggio di un collega uomo.
Mileva è in scena al Pacta Salone di Milano dal 30 marzo al 3 aprile. Ne sono protagonisti Mattia Cason e Ksenja Martinovic, che ha anche scritto il testo di cui è dramaturg Federico Bellini. La consulenza scientifica è di Marisa Michelini, professore ordinario di didattica della fisica dell’Università degli studi di Udine.
Intervista a Ksenja Martinovic
Ci vuoi spiegare chi era Mileva Mari’c?
Sarebbe più corretto chiamarla Mileva Mari’c Einstein: era la prima moglie di Albert Einstein, ma soprattutto una matematica e fisica serba. E’ stata la prima donna ad aver studiato al corso di fisica al Politecnico di Zurigo. Dico che è più giusto chiamarla Mileva Mari’c Einstein semplicemente perché ha mantenuto quel cognome anche dopo il divorzio. Per lei infatti era un modo più facile per tenere le lezioni di matematica e mantenere se stessa e i figli di Albert, perché è stata la moglie e la madre degli unici figli di Einstein.
Quali furono le grandi doti che le permisero di essere la prima donna ammessa al corso di fisica al Politecnico di Zurigo?
Era una grandissima studiosa, una matematica e fisica che ha fatto l’esame per entrare e lo ha passato. Lei ed Einstein frequentavano lo stesso corso all’università di Zurigo e oltre ad avere una grande passione per la materia, era anche molto brava. Dalle lettere sulla fisica che i due si scrivono si vede la loro influenza reciproca.
Quali sono le tessere mancanti nel puzzle della sua biografia?
Tantissime. Dopo due anni di ricerche fatte sulle lettere, l’aspetto interessante è che quelle di Mileva Mari’c sono sempre meno reperibili, perché sul sito di Princeton ci sono i Collected Papers, missive che ha scritto Albert Einstein. Quelle di Mileva, soprattutto dopo il 1914 quando si sgretola la loro relazione sentimentale e lei chiede il divorzio, sono scarse e alcune non sono neanche state tradotte dal tedesco. Inoltre, c’è tutta una parte dell’archivio Einstein di Gerusalemme che contiene documenti non ancora aperti. Sapere della loro esistenza è stato per me molto importante. Non siamo riusciti a trovare nulla di concreto sulle ricerche scientifiche fatte sul suo contributo alla teoria di Einstein, però attraverso le lettere si capisce che c’è un lavoro fatto insieme per tutto il tempo del loro matrimonio, durato dal 1905 al 1916.
Perché nel testo lo spazio, il tempo e la gravità diventano metafore di un amore e delle sue ombre?
Perché abbiamo cercato di raccontare questa storia non tanto attraverso le parole, ma leggendo le lettere abbiamo creato una dinamica scenica nello spazio per presentare quella vicenda che può anche diventare universale, di rapporto fra uomo e donna e fra potere e sottomissione. Lo spazio ci aiuta dunque a ricreare quel meccanismo amoroso che c’era tra di loro.
- Intervista di Andrea Simone
- Foto di scena di Daniele Fona
- Si ringrazia Giulia Colombo per la collaborazione
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