Un solo attore, tredici personaggi, una storia surreale e tragicomica per indagare, attraverso la vita di un giovane uomo, che ha tutto ciò che gli serve, tranne il cuore, un tema caro a chiunque abbia avuto il dubbio se davvero valga o no la pena vivere.
Se ci sei batti un colpo di Letizia Russo è in scena dal 31 marzo al 2 aprile presso la sala Cavallerizza del Teatro Litta di Milano con la regia di Laura Curino. Ne è unico protagonista Fabio Mascagni.
A tu per tu con Fabio Mascagni
Quanto è difficile interpretare ben tredici personaggi?
La cosa difficile è farli bene. Uno può farne anche 25. Non sta a me dire se li interpreto come si deve, ma di sicuro è un’impresa che richiede una buona scrittura, come quella di Letizia Russo. Se infatti i testi sono scritti bene, è più facile. Poi ci vuole un’allenatrice come Laura Curino, che è stata bravissima. Io cerco di fare il possibile e di dare il massimo.
In che cosa si somigliano e in che cosa sono invece diversi questi tredici personaggi?
Sono proiezioni di un unico personaggio, Franco, il protagonista, un uomo nato senza cuore. Potremmo incontrarlo tranquillamente in metropolitana o per la strada. Apparentemente ha tutto quello che gli serve, ma non avendo il cuore, gli mancano l’aspetto emotivo, l’ascolto e l’empatia verso gli altri. Decide così che la sua vita non ha molto senso perché si annoia tremendamente. Sceglie quindi di uccidersi, ma prima di compiere il gesto estremo, si rivolge alle divinità: a Gesù, all’induismo, a un rappresentante della religione musulmana e alla scienza, per sapere se quello che sta facendo è giusto. Lui non vuole essere punito. Chiaramente è un testo molto intelligente, che parla del senso della vita e che cerca di avere delle tinte leggere, perché spesso c’è più fantasia nella realtà, che a volte è tragicomica.
Questo significa che c’è molto cinismo alla base di tutto?
Assolutamente sì. E’ un personaggio politicamente scorretto. Per esempio lui va ai funerali, vede che gli altri piangono ma non sa perché lo fanno. Tutti i libri che si vedono sulla scena sono appunti che lui ha preso per fare le cose per bene perché non le capiva. Per esempio, se la fidanzata fa tintinnare le chiavi, vuol dire che aspetta di essere baciata; se al cinema le persone piangono, è perché il film è commovente. Quindi lui scrive: “Quando il Titanic affonda, ricordarsi di piangere”. Questo è l’aspetto parossistico della vita di questo personaggio ed è un modo di riflettere anche delle nostre ingenuità e dei non-sensi che abbiamo nella nostra vita.
Quest’incapacità di provare sentimenti si ritorce contro ai protagonisti?
Sì, perché lui non prova alcuna emozione e quindi tutto perde senso. Con molta freddezza dice: “Se ci sono mi annoio, se non ci sono non mi annoio.” Pensa quindi a non esserci, a togliersi la vita, ma senza dolore, bensì con una riflessione molto fredda e specifica.
- Intervista di Andrea Simone
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- Si ringrazia Alessandra Paoli