Uno spettacolo ispirato a Ivan Goncarov, fondamentale figura della letteratura russa di fine Ottocento. Goncarov porta alle estreme conseguenze una condizione esistenziale estremamente diffusa nel mondo contemporaneo. Il protagonista è infatti un temporeggiatore indeciso, che dopo una vita artistica fatta di successi, decide di isolarsi in una vecchia abitazione in campagna con il fratello, rinunciando alle passioni e agli obiettivi che fino a poco tempo prima sono stati il motore della sua vita.
Oblomow Show nasce da una scrittura scenica collettiva ideata e diretta dal regista Stefano Cordella. Il testo è di Dario Merlini e i protagonisti dello spettacolo, in scena al Teatro Litta dal 9 al 12 febbraio, sono Martina De Santis, Francesca Gemma, Francesco Meola, Dario Sansalone e Umberto Terruso.
Quattro domande a Francesco Meola
Sono l’apatia e il rifiuto di una vita precedente a caratterizzare il disagio esistenziale di Oblomov?
Ci sono sicuramente condizioni del passato che hanno influenzato il suo carattere e le sue scelte, ma c’è anche una condizione esistenziale dell’uomo che il personaggio incarna perfettamente. Si parla infatti di “oblomovismo”: uno stato prossimo all’apatia, una sorta di pigrizia che però non è sempre un lato negativo.
C’è dunque in Oblomov e negli altri protagonisti l’incapacità di rimettersi in discussione?
Sicuramente. In scena facciamo vedere lo sforzo di una persona che prova a rimettersi in gioco e a riprendere in mano la propria vita, ma in fondo non ce la fa per una serie di motivi interni ed esterni che non glielo permettono e che sono indipendenti dalla sua volontà. Il romanzo va verso un finale che molti non considerano positivo ma che per noi è realistico. Se si vuole essere sinceri e onesti, bisogna andare in quella direzione.
Ci vuoi parlare del tuo personaggio?
Ho il ruolo di Zachar, che nel romanzo è il servo di Oblomov. Nella nostra riscrittura diventa però il suo fratello minore. E’ una sorta di appendice di Oblomov ed è ancora più “oblomovizzato” nel nostro spettacolo. Non è apatico, ma si lascia attraversare dalle cose che gli accadono; sembra in balia di tutto quello che gli è succede. E’ uno studente di infermieristica, però è andato fuori corso all’ennesima potenza e deve dare un esame di anatomia da almeno tre anni. Vive in casa con il fratello e piuttosto che studiare inventa qualsiasi stratagemma.
Questa è una riscrittura contemporanea ideata dal regista Stefano Cordella. La pandemia e il lockdown compaiono nella trama dello spettacolo?
Il fatto abbastanza paradossale è che noi stavamo provando questo testo, basato su una persona che si chiude in casa volontariamente, poco prima della pandemia. Quando è scoppiato il Covid abbiamo capito che il testo era assolutamente adatto per il momento che stavamo vivendo. Ci sono sicuramente dei rimandi un po’ esterni e indiretti alla pandemia, perché se si vuole fare uno spettacolo nel 2023, ovviamente ci si deve far colpire un po’ dall’accaduto.
- Si ringrazia Alessandra Paoli
- Foto di Antonio Ficai
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