Andrea Santonastaso è oggi un attore che un tempo faceva il disegnatore di fumetti. Oggi ha scelto di raccontarci, attraverso le parole di Christian Poli, la storia e l’arte del più grande disegnatore di fumetti che l’Italia abbia conosciuto: Andrea Pazienza, scomparso nel 1988 a soli 32 anni a causa di quella tragica malattia che risponde al nome di tossicodipendenza.
morirà a Montepulciano un anno dopo, il 16 giugno 1988)
In Mi chiamo Andrea, faccio fumetti, in scena al Teatro della Cooperativa fino al 18 ottobre e diretto da Nicola Bonazzi, Santonastaso dichiara la propria inferiorità davanti al talento immenso di un genio, ma anche la propria rabbia e la propria impotenza di fronte alla morte di un artista che avrebbe ancora potuto regalare innumerevoli capolavori al nostro Paese.
La parola ad Andrea Santonastaso
“La prima domanda che istintivamente mi viene da farti è se vi siete concentrati più sull’artista o più sull’uomo.”
“Assolutamente di più sull’artista, perché l’uomo nello spettacolo sono io, nel senso che racconto Paz attraverso me stesso e la mia passione per lui. Poi è inevitabile, quando un artista è di quel livello, far venire fuori l’uomo dalle sue opere. Forse, nel caso di Paz, l’artista e l’uomo sono la stessa cosa.”
“Sul sito del teatro c’è scritto che questo spettacolo è una biografia ma non è una biografia. In che senso?”
“Nel senso che è un racconto disegnato. Non so se le biografie si disegnano. Non lo so perché non le ho mai fatte. In questo caso però, raccontando la sua vita, io che sono un ex disegnatore di fumetti e che ho smesso di farli per colpa o merito di Paz, non so dirti se è veramente una biografia. Forse, sono due biografie: la sua e la mia, o la sua attraverso la mia. Poi il fatto che la si disegni la rende una biografia a fumetti. Ma esistono le biografie a fumetti? Diciamo che non mi sento degno di raccontare Paz in maniera biografica, perché non ne ho la capacità e gli elementi, però posso raccontare il mio amore per lui. Allora forse, attraverso quello, finisco col farne una piccola biografia artistica.”
“Nello spettacolo parli anche di Pentothal e Gli ultimi giorni di Pompeo. Puoi spiegare ai più giovani che magari non conoscono benissimo la figura di Pazienza chi e che cosa sono? Inoltre vengono citati anche Pertini e Zanardi. Come mai?”
“In realtà, raccontando io la sua arte, non posso fare a meno di parlare del suo primo fumetto famoso, che è Pentothal. Spiego come è venuto a creare questo personaggio e soprattutto che cosa racconta. Pentothal è inoltre un’occasione per raccontare la Bologna di quegli anni, perché parla di se stesso attraverso la città di Bologna o della città di Bologna attraverso Pentothal. E’ lo spunto per far emergere uno spaccato storico. Pompeo invece è proprio Paz. Gli ultimi giorni di Pompeo sono gli ultimi di Paz, anche se poi non sono stati gli ultimi, perché è vissuto ancora alcuni anni, ma aveva purtroppo previsto la sua fine. Racconta di sé e del suo dolore per la perdita di una fidanzata, per aver chiuso una storia d’amore, per la solitudine. Parla di sé in maniera profonda. Gli altri personaggi, Pertini ad esempio, sono uno strumento per raccontare la sua capacità di descrivere i mondi che lo circondavano come nessuno è stato capace di fare prima di lui, e, con i fumetti, dopo di lui. Pazienza era capace di raccontare l’estetica del mondo che lo circondava in maniera perfetta, profonda e totale. In questo è stato il più grande di tutti e io lo racconto. Da questo si può capire la mia passione infinita per la sua arte.”
“Gli eroi muoiono giovani. Fu così anche per Pazienza?”
“Non lo so. Se proprio vuoi che ti dica come la penso realmente, secondo me è stato un fesso. Ha fatto uno sbaglio. una stupidaggine e se n’è andato. Visto che stiamo parlando di un artista enorme, forse quello che parla è l’appassionato, il fan, quello che lo ama totalmente. Forse, se lo avessi a tiro adesso, gli tirerei un calcio nel sedere, perché così ha impedito a tutti noi di gioire ancora della sua arte. In 32 anni ha prodotto tantissimo e quindi immagino cosa avrebbe potuto produrre dopo. Non so dirti se l’essersene andato così presto fa di lui un artista più grande di quello che è stato. Per quanto lo amo e per quanto lo conosco, credo assolutamente di no. Penso che la sua grandezza non derivi dal fatto di essere vissuto solo 32 anni e credo che non sia giusto glorificare i geni solo per il fatto che se ne sono andati prima. Forse bisognerebbe riconoscere la grandezza degli altri quando sono ancora in vita. Per noi italiani, però, è un aspetto un po’ ostico, perché sotto sotto c’è sempre un po’ d’invidia. Credo quindi che fosse immenso a prescindere dai suoi 32 anni.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Giulia Tatulli per il supporto professionale