Michele Igino Sordo, “Solo più un andirivieni”

Uno spettacolo allegorico, visionario, apparentemente disorganizzato, uno scanzonato flusso di idee. Sul palco prende corpo l’incontro/scontro di parole che diventano gesti e viceversa. Al ritmo della batteria, si intersecano assonanze, dissonanze, allitterazioni, ossimori, i significati e i significanti. Il gesto si fa pausa a rimirar la luna, le stelle e.. le carte geografiche!

Solo più un andirivieni. Passaggio da un altro ad un altro è in scena al Teatro Out Off di Milano dal 12 al 16 ottobre. Ne è protagonista Michele Igino Sordo, che ha anche scritto il testo e curato la regia. Alla batteria troviamo Fabrizio Carriero.

La parola a Michele Igino Sordo

Perché questo spettacolo rappresenta un flusso di idee?

Perché è fatto di parole ritmiche e ci sono tantissimi giochi di parole e suoni. Sono suggestioni che mi vengono in mente molto istintivamente. Poi le sistemo e le metto insieme per dar loro un ritmo. L’espressione “flusso di idee” è nata da una definizione datami da un amico, Giancarlo Onorato, che mi ha aiutato a creare la ritmica dello spettacolo. E’ una sua frase nata da quello che lui captava dalle mie azioni.

Il flusso di idee nasce dalle frasi che io sento, ma viene fuori soprattutto quando mettiamo in scena lo spettacolo e lo proviamo. Questo è un mio lavoro che parte da molto lontano e che rappresenta per me un punto d’arrivo di alcuni miei pezzi fatti con altre persone e da solo. In seguito, mi sono reso conto di volere anche un’interazione con un suono che mi desse ritmo. Non cercavo però un sottofondo musicale, bensì uno scontro. Ho lavorato con il batterista e sono nati i flussi di idee.

Hai scelto la batteria perché era lo strumento musicale più adatto per lo spettacolo?

E’ stata una decisione casuale, ma a me piace far diventare il caso coincidenza. All’inizio ho provato vari strumenti, ma quando ho scoperto la batteria ne è nato un bellissimo risultato. Alla fine è stata una scelta fatta sul campo, il frutto di una prova.

Chi è Battiloro?

Un alter ego. Innanzitutto, mi piace il suono di questa parola. Qualcuno lo ha definito la mia parte intima e surreale che usciva. E’ una figura che non ha paura di dire le cose.

Perché hai questa passione per le carte geografiche?

In realtà la mia grande passione sono i cartelli stradali, al punto tale che che ho fatto un’installazione su questi oggetti al Mi.Mu.Mo di Monza. Il viaggio per me non sta nel percorrere una strada ma nel cartello stesso. Ho scritto anche delle poesie con i nomi dei posti. Le carte geografiche sono un mezzo di estraniamento, fatte “per rimirar la luna e le stelle”. Mi piacciono a livello estetico e le amo perché decontestualizzano le cose.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Martina Bruno per la collaborazione
  • Foto in evidenza di Marina Giannobi
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