Il Teatro Franco Parenti di Milano propone fino a domenica 11 febbraio Rosmersholm. Si tratta di un monodramma a due voci di Henrik Ibsen rielaborato da Massimo Castri e diretto da Luca Micheletti, che ne è anche protagonista con Federica Fracassi. Lo spettacolo è un horror in forma di seduta psicanalitica, forse il più palpitante “copione del terrore” uscito dalla penna di Ibsen. Un grande incubo, un entusiasmante duello di anime senza esclusione di colpi. Luca Micheletti e Federica Fracassi esplorano l’universo ibseniano con quest’opera scritta dall’autore norvegese nell’ultima fase della sua vita. Rebekka West, donna segreteamente passionale e libera pensatrice apparente, prende servizio a casa del pastore Rosmer, espressione e al contempo vitttima di un ordine aristocratico chiuso in se stesso governato da ferree leggi morali e forse addirittura soprannaturali.
Intervista a Luca Micheletti
“Non credo che si possa giudicare quest’opera solo come inquietante. Andando più a fondo ci si trova qualcosa di molto più profondo. E’ così?”
“Credo di sì. Penso che sia principalmente un’operazione che racconta lo scontro violento tra la politica e il privato. Risponde innanzitutto alle nevrosi ideologiche di Ibsen e forse anche del secolo che verrà. E’ in fondo l’analisi di una pulsione contrapposta, quella ‘barricadera’ di una certa classe borghese e quella conservatrice di un modo di pensare alle classi umili che porterà a sogni di rivoluzione gattopardeschi mai di fatto realizzati. E’ suggestivo immaginare che questo scontro ideologico si incisti dentro a un sommovimento interiore dell’analisi dell’individuo, che di lì a vent’anni porterà all’interpretazione dei sogni di Freud e oltre. Ibsen ha raccolto a posteriori un’eredità, delle seduzioni, delle tentazioni e dei movimenti tellurici che facevano parte della storia dell’umanità. Il teatro ha saputo fotografarla. Sì, è vero: è un’opera stratificata”.
“Che tipo di lavoro ha fatto Massimo Castri sul testo?”
“Massimo Castri ha realizzato un copione per il suo spettacolo del 1980. Ho scelto di ritornarci trattandolo non come copione di uno spettacolo ma come riduzione letteraria. L’ho trattato da testo, perché lo spettacolo che avevo in mente partiva da un’idea, cioè quella di levare il resto dei personaggi e questo lo aveva fatto anche Castri. Dentro però c’è un ribaltamento che non c’era nel suo spettacolo: io l’ho reso una storia di fantasmi, quindi sono partito dal fondo e ho ricapitolato quest’avventura dello spirito e delle ideologie. E’ rimasta l’idea reggente di Castri di trasformarlo in un copione ancora più cameristico e intimo di Ibsen. Per il resto ho creato uno spettacolo lontano a livello registico dal suo”.
“E’ vero che è il peso del passato l’ago della bilancia di tutto?”
“Sì, ma forse anche del futuro. E’ senz’altro una questione di tempi che si vivono. In una frase importante che fa parte della confessione di Rebekka, lei dice: ‘Io volevo prendere parte al movimento dei tempi e vivere nello spirito delle nuove idee. E’ proprio questo movimento dei tempi che sentiamo nel momento in cui i personaggi abitano l’istante, e che poi invece, nel momento stesso in cui quest’istante decade, decadono con esso. Per quanto riguarda il privato è una riflessione sul passato, ma per quel che riguarda il pubblico e il politico lo è sul futuro. Ed è proprio la contingenza di questi tempi tra passato, presente e futuro che non quadrano, tra colpe e aspirazioni sociali a far collassare e precipitare il mondo intero”.
“C’è una frase terribile nel testo che dice ‘I bambini a Rosmersholm non ridono mai’. Fa accapponare la pelle, giusto?”
“E’ senz’altro una frase che a noi suona da un lato molto hitchcockiana e dall’altra molto bergmaniana. Ha qualcosa di gotico e il copione ha una seduzione un po’ noir che gli appartiene. E’ la metafora di una società che non si consente niente e che vive il senso di colpa magnificandolo come occasione di espiazione. Questo però conduce a introspezioni malate, come sempre accade con la verticalità eccessiva di una spiritualità che si toglie la tonaca come fa il pastore Rosmer, ma che è però in cerca di un altro livello mistico che tenta di conseguire attraverso la mistificazione dell’io a tutti i costi. Questo chiaramente dovrà portare alla disintegrazione dell’io stesso”.