SIMONA MIGLIORI, “QUESTO E’ IL MIO CORPO”

Una storia di vessazioni, pregiudizi e persecuzioni . Atti di violenza – psicologica e fisica – di cui le donne sono vittime ancora ieri come oggi. Simona Migliori si confronta dal 25 al 27 novembre al Teatro Linguaggicreativi di Milano con la storia di Italia Donati, ​maestra ventenne, vissuta a fine Ottocento in un piccolo paese della Toscana. Al tempo i disagi a cui andavano incontro le maestre erano enormi: classi di cinquanta e più bambini dai sei ai quattordici anni, mancanza di pulizia e servizi igienici, famiglie restie a sottrarre i figli alla campagna per mandarli a scuola. Inoltre, le donne istruite non venivano viste di buon occhio e quindi erano spesso oggetto di maldicenze. Maldicenze che spesso si trasformavano in persecuzioni e calunnie. Questo è il mio corpo, scritto, diretto e interpretato dalla stessa Simona Migliori, è in scena dal 25 al 27 novembre al Teatro Linguaggicreativi di Milano.

Intervista a Simona Migliori

Questa storia è ambientata alla fine dell’Ottocento. Che cos’è cambiato in meglio e in peggio in Italia rispetto ad allora?

Al tempo della vicenda che vado a raccontare, il nostro Paese stava affrontando un grosso cambiamento politico. C’era appena stata l’Unità d’Italia, e bisognava “fare gli italiani”. Questo avveniva attraverso la scuola. Da allora ad oggi l’Italia ha visto molti cambiamenti sotto ogni punto di vista: economico, demografico, della scolarizzazione, eccetera. L’aspettativa di vita, le condizioni di salute e l’accesso al welfare sono sicuramente alcune delle condizioni che rendono l’Italia migliore rispetto ad allora. Ma se penso alle tante battaglie che stiamo portando avanti ancora oggi per la parità dei diritti, contro la discriminazione, ma anche solo perché la legge sull’aborto smetta di essere toccata una volta per tutte, mi sembra di ripiombare nel Medioevo.

In che cosa sta la forza di questo personaggio?

Italia aveva soli 20 anni, ed è stata una ragazza coraggiosissima pur essendo sola, lontana dalla famiglia e in un paese che le era ostile, accusata di quello che veniva considerato un crimine che non aveva commesso. La forza del personaggio è quella di aver cercato con tutta se stessa di difendere il proprio onore, l’unica cosa che possedeva; di averci provato contro tutti; di essere diventata un esempio, tanto che all’epoca il suo divenne un caso nazionale che fece emergere la situazione vergognosa di tante maestre come lei: vessate, abusate, ricattate dai sindaci dei paesi e licenziate per non aver ceduto. Maestre morte suicide o anche di fame. 

Perché le donne istruite non venivano viste di buon occhio?

Perché erano donne. Ti basti pensare che, solo per il fatto di essere di sesso femminile, guadagnavano un terzo rispetto ai maestri uomini. Ancora meno se le mandavano in piccoli borghi o nei paesi di campagna. 

Il testo è tratto da una storia vera. E’ lo spaccato sociale di un’Italia di 150 anni fa quello che presentate?

È quello dell’Italia rurale toscana del pistoiese, di famiglie molto numerose e allargate che soffrivano la fame. I bambini lavoravano nei campi e l’istruzione era vista come un lusso, soprattutto per le donne che, secondo la mentalità di stampo patriarcale, avrebbero dovuto solo pensare a sposarsi e a fare figli. In questa storia vediamo protagoniste le voci di paese e sono le stesse che quando prendono di mira un bersaglio, si allargano a macchia d’olio e poi lo distruggono. Ora si sono trasferite sui media, ma contengono lo stesso veleno di quelle subite da Italia Donati. Alcuni meccanismi sono identici, 150 anni fa come oggi. È di questo che voglio parlare.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Isabella Procaccini per la collaborazione
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