Torna al Teatro Menotti Filippo Perego di Milano dal 13 al 16 ottobre Jackie, lo spettacolo con Romina Mondello diretto da Emilio Russo. E’ la storia di una donna, protagonista di una narrazione, che diventa testimone – a tratti spietata – di un’epoca dove il “sogno americano” di democrazia e pace “un po’ alla buona” era governato dal potere di una famiglia che dietro all’atmosfera patinata e agli smaglianti sorrisi di circostanza, nascondeva un background fatto di sesso, malattie, alcol, droga e morte. I miti, però, restano tali. Proprio come Jacqueline Bouvier Kennedy Onassis.
Quattro domande a Romina Mondello
In che modo Jackie si fa beffa di noi?
Di noi ma anche di se stessa perché è la burattinaia della sua vita ma rimane incastrata nella tela che lei stessa tesse. Non ci sono né vinti né vincitori.
Jackie ci parla da un altrove che però non è un aldilà. Che posto è?
Un luogo non luogo: potrebbe essere dentro Jackie e in quel posto ha la possibilità di rivivere la sua vita per intero nell’ultimo momento. Quindi è quasi la descrizione di un attimo
Qual è il fardello che Jackie si porta sulle spalle?
Sono tanti, primo fra tutti il confronto con la madre che è stata l’artefice di quello che le accadrà nella vita successivamente, quindi anche del suo matrimonio. Jackie Kennedy infatti doveva sposarsi con un uomo di potere. Non le è stato concesso scegliere più di tanto, anche se poi ha accettato il compromesso. Sua madre inizialmente le diceva che doveva sposare un uomo ricco, la spingeva a non perdere un anno intero e a utilizzare meglio proprio quell’anno, aggiungendo che avrebbe potuto conoscere un gran numero di uomini, perché come diceva “avere tempo per una poesia è utile, ma è più utile se il tuo vestito è essere una poesia”.
Jackie aveva l’ossessione per gli abiti e per il punto vita. Un altro fardello era l’incubo del confronto con Marilyn, il suo alter ego femminile, una donna fatta solo di carne che lei detestava totalmente non solo perché era l’amante del marito ma soprattutto perché era una donna completamente diversa da lei. Poi c’era il confronto fondamentale con il presidente John Kennedy, che lei chiamava Jack. I due si sono rovinati la vita a vicenda.
In questo spettacolo c’è innanzitutto una Jackie inedita, perché non è la donna con il tailleur rosa che tutti conoscono: è una Jackie nuda. Nuda perché è prima di tutto una donna che è stata un’icona, ma che però è completamente diversa da come ce la immaginiamo. Elfriede Jelinek, che sapientemente ha scritto questo testo di parola per il teatro, descrive una Jackie Kennedy completamente sconosciuta: viene raccontata la malattia del marito. Non tutti sappiamo infatti che il presidente Kennedy soffriva di gonorrea e che questo male fu la causa dei tanti aborti di Jackie che l’hanno fatta sprofondare in un abisso di dolore e infelicità. Era una madre che ha amato moltissimo i suoi figli e che però ha vissuto tantissimi dolori, morti e omicidi, primo fra tutti l’attentato di Dallas nel 1963 in cui rimase ucciso John Kennedy.
Come ti sei preparata per questo ruolo?
Il regista Emilio Russo ed io abbiamo lavorato moltissimo sul testo scritto nel 2002 prima che Jelinek vincesse il Premio Nobel nel 2004 per la letteratura. Il lavoro è stato quello di rendere il testo più fruibile e accessibile al pubblico. Era un fiume di parole che se uno legge, ha la possibilità di soffermarsi, cosa che a teatro non si può fare. Ogni parola nasconde un mondo e questo si deve alla sapienza di Jelinek, ma anche di Emilio Russo, che ha fatto un lavoro di suddivisione del testo in capitoli per cercare di aiutare ancora di più lo spettatore e devo dire che secondo me ci è riuscito molto bene.
- Intervista video di Andrea Simone
- Foto in evidenza di Federica Frigo
- Si ringrazia Linda Ansalone per la collaborazione