Maria Amelia Monti, “La parrucca”

Due atti unici di Natalia Ginzburg che sembrano l’uno la continuazione dell’altro. In Paese di mare una coppia girovaga e problematica prende possesso di uno squallido appartamento in affitto. Lui, Massimo, è un uomo perennemente insoddisfatto, passa da un lavoro all’altro ma vorrebbe fare l’artista. Lei, Betta, è una donna ingenua, irrisolta, che si deprime e si annoia facilmente, e tuttavia è genuina come solo i personaggi della Ginzburg sanno essere.

Ne La parrucca ritroviamo Betta e Massimo in un piccolo albergo isolato, dove si sono rifugiati per un guasto all’automobile. Betta è a letto disperata e dolorante perché durante un litigio Massimo l’ha picchiata….

La parrucca è in scena al Teatro Carcano di Milano fino al 20 febbraio. Diretto da Antonio Zavatteri, lo spettacolo vede protagonisti Maria Amelia Monti e Roberto Turchetta.

Quattro domande a Maria Amelia Monti

Che cosa ti ha affascinata di più di questo scritto di Natalia Ginzburg?

Io sono una sua fan, è la terza volta che faccio un suo testo. Quando avevo 27 anni ho fatto La segretaria e nel 2002 Ti ho sposato per allegria. La cosa che mi diverte sono i suoi personaggi: quello femminile è sempre un po’ lo stesso, però la Ginzburg lo colloca in età, periodi e situazioni diverse. Nel suo teatro la donna va contro gli stereotipi. Oggi va di moda la donna forte, arrivista, in carriera, che sostiene l’uomo e sa essere madre e moglie allo stesso tempo. I personaggi femminili della Ginzburg sono l’opposto! Si trovano in balia della vita ma le tengono testa, perché sono ironici, autentici e curiosi; si muovono in mezzo alla realtà, facendola quasi diventare surreale perché la vedono con occhi spregiudicati.

Che cosa ha significato per te, nota al grande pubblico come attrice comica, calarsi nel ruolo di una donna tormentata come Betta?

Io in teatro ho sempre fatto tanti altri ruoli oltre a quelli comici. Gli spettatori mi conoscono per la mia comicità, ma io ho tentato ogni volta di trovare nei personaggi divertenti uno spessore, perché penso che ridere senza spessore non sia piacevole. Per questo spettacolo di Natalia Ginzburg non è stato diverso.

Il regista Antonio Zavatteri ha dato a te e Roberto Turchetta delle direttive ben precise o vi ha lasciato libertà d’azione?

Antonio Zavatteri è prima di tutto un bravissimo attore. Io amo molto farmi dirigere dai registi che sono anche capaci di recitare perché non ci dicono come far uscire l’intonazione o la battuta, ma ci fanno capire l’intenzione da avere per essere credibili. I registi che hanno anche una preparazione attoriale come Valerio Binasco aiutano molto gli attori. Alcuni li dirigono lavorando magari più sulla lettura del testo, altri sull’estetica dello spettacolo. Con Zavatteri ci siamo invece concentrati sulla parte attoriale.

Senza svelare troppo, in un testo così duro c’è spazio anche per un po’ di positività e speranza?

In realtà non è cosi duro come dici, ma è uno spaccato su un periodo a cavallo tra gli Anni 60 e 70. Nel primo tempo la coppia non è ancora intaccata dal Sessantotto, ma viene solo sfiorata dai suoi pensieri rivoluzionari: il divorzio, l’aborto, le droghe e l’apertura della coppia. Nel secondo tempo, che nello spettacolo è messo insieme al primo perché diventi un atto unico, assistiamo al monologo di Betta cinque anni dopo e si vede il suo cambiamento: da borghese degli anni Sessanta a fricchettona degli anni Settanta.

Betta telefona alla madre e le confida di avere un amante, sperando che il marito la senta. Il fatto interessante è che inizia il monologo avendo nel naso del cotone sporco di sangue perché lui le ha dato una sberla. A quell’epoca i maltrattamenti facevano quasi parte della normalità del rapporto tra marito e moglie, tant’è vero che quando Betta dice di aver preso uno schiaffo fortissimo, la mamma le risponde: “Non esagerare, chissà che cosa gli hai detto tu!” Questo ci fa pensare, perché adesso le violenze sulle donne sono molto frequenti, però sono diventate un tabù e una cosa politicamente scorretta. Negli anni 60 e 70, invece, il fatto che un marito potesse dare uno schiaffone alla moglie non scandalizzava più di tanto: faceva parte dell’equilibrio familiare.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringraziano Cristiana Ferrari e Maurizia Leonelli per la collaborazione
  • Clicca QUI per iscriverti al canale Youtube di Teatro.Online e vedere le nostre interviste video