“NON VOLTARTI INDIETRO”: IL DOLORE DI UNA GENERAZIONE

Lei e Lui sono una coppia, sono giovani, hanno il sorriso e tutto il tempo del mondo. Ma poi succede qualcosa, “una cosa terribile della nostra società, una piaga del mondo”, e Lei si chiude. In se stessa, in casa, in un personale inferno. Lui viene escluso, anzi, cacciato. Dovrà mettere in gioco molto per riavere la sua Lei. Una rilettura contemporanea di Orfeo ed Euridice sul tema della violenza sulle donne raccontato senza retorica, ma con discrezione, ironia e partecipazione emotiva.

Non voltarti indietro è in scena al Teatro Verdi di Milano dal 22 al 25 novembre. Scritto da Chiara Boscaro e diretto da Marco Di Stefano, vede protagonisti Valeria Sara Costantin e Diego Runko.

Intervista a Chiara Boscaro e Marco Di Stefano

“Qual è l’evento che fa chiudere la protagonista in se stessa?”

Chiara Boscaro: “Non ve lo posso dire, però vi posso dire che succede qualcosa. Abbiamo una situazione che si è interrotta in qualche punto e attraversiamo come in un giallo i tentativi di Lui, il personaggio maschile, che cerca proprio di capire cos’è successo a Lei. Nella mia testa sono Orfeo ed Euridice, nella realtà questo non viene mai detto, però vediamo diverse tappe di un percorso di questo ragazzo che per tentativi a volte un po’ goffi e che ci fanno sorridere cerca di avvicinarsi a una verità che non necessariamente è facile.”

“Quali sono le difficoltà linguistiche della generazione di cui si parla nello spettacolo?”

Chiara Boscaro: “Sono le difficoltà di trovare le parole per parlare del dolore. Detto così sembra molto pesante, però è proprio la cosa che ho cercato nel raccontare questa storia. Ho cercato di utilizzare delle frasi semplici, di uso comune, ma che si scontrano con la mancanza di parole. Quando succede qualcosa di brutto non abbiamo le parole per parlarne. Poi però magari riusciamo, con delle perifrasi o ridendoci sopra, a trovare un modo di affrontarle e di elaborarle. “

“Perché avete ridotto così al minimo lo spazio scenico?”

Marco Di Stefano: “Un po’ perché c’è un’indicazione di testo da parte di Chiara rispetto al luogo in cui questa ragazza si chiude. E’ la sua casa, ma in qualche modo viene trasformata, per cui l’arredamento viene ridotto all’osso dal testo. Noi abbiamo cercato di estremizzare ancora più questa dimensione creando un luogo vuoto e bianco dove ci sono dei piccoli segni quotidiani, che sono delle caffettiere e delle normali lampadine, in un luogo fisico reale ma anche interiore, che è sempre quello che sta vivendo la protagonista.”

“Su che cosa avete lavorato maggiormente?”

Marco Di Stefano: Il primo tentativo è stato quello di cogliere la parte leggera del testo, nel senso che il testo è raccontato in maniera assolutamente non pesante, anzi dovrebbe avvicinare maggiormente lo spettatore al problema di cui si parla, che è la violenza di genere. Quindi abbiamo cercato di ricostruire una sorta di verità, perché la vita in qualche modo può essere tragica ma anche molto comica a distanza di cinque minuti. Quello che noi abbiamo cercato di fare, seguendo le indicazioni testuali di Chiara, è stato ricostruire questa dimensione. L’altro tentativo che abbiamo fatto è stato quello di usare il minimo necessario per raccontare la storia, perché non volevamo mettere troppe sovrastrutture alla funzione del pubblico. E’ una cosa che può sembrare semplice, ma in realtà non lo è, perché spesso siamo abituati a caricare e non a sottrarre. Le due cose su cui abbiamo lavorato sono state queste.

(intervista e riprese video di Andrea Simone)