Alberto Oliva, “Elea, il sogno interrotto di Mario Tchou”

Mario Tchou era un ingegnere e informatico italiano di origine cinese, che grazie alla sua intelligenza e alle sue capacità visionarie, deteneva il brevetto di un calcolatore molto innovativo. Un supercomputer a transistor dell’epoca mai realizzato prima, che avrebbe portato l’Italia all’avanguardia in tutto il pianeta nel campo della sperimentazione tecnologica sull’intelligenza artificiale. I suoi progetti si infransero però nel 1961…

E’ al Pacta Salone di Milano che va in scena Elea, il sogno interrotto di Mario Tchou, uno spettacolo della drammaturga Livia Castiglioni, diretto da Alberto Oliva con Maria Eugenia D’Aquino.

Quattro domande ad Alberto Oliva

Partiamo dalla cronaca. Cosa successe a Santhià la mattina del 9 novembre 1961?

Purtroppo non lo sappiamo con certezza. Ci fu un “incidente stradale” che è uno dei grandi misteri della storia d’Italia. Mario Tchou stava viaggiando con il suo autista e si schiantò contro un autocarro. La disgrazia, avvolta nel mistero, causò la morte di entrambi. C’è chi parla di complotto e chi invece crede che sia stata proprio una fatalità.

In quel momento Mario Tchou era il braccio destro di Roberto Olivetti, e con la sua morte finì per sempre il sogno dell’Italia di essere all’avanguardia nel mondo nella via alla tecnologia. Il sogno interrotto di Mario Tchou è il sogno interrotto di un’Italia intera che stava crescendo e che avrebbe potuto diventare l’alternativa alla Silicon Valley americana. Lo sviluppo tecnologico avrebbe mantenuto al centro l’uomo e non la macchina, che con lui, nel suo laboratorio di Ivrea, avrebbe potuto rimanere sempre al servizio dell’uomo.

Perché Mario Tchou era un grande visionario, soprattutto nell’ambito della Olivetti, che lo assunse nel 1955, quando aveva solo 31 anni?

Il grande visionario fu Adriano Olivetti che lo assunse. Mario Tchou aveva creato un ufficio di giovanissimi ragazzi di 19-20, appena usciti dalla scuola. Erano periti tecnici e ingegneri ai quali non chiedeva quello che sapevano fare: a lui interessava ciò che avrebbero potuto imparare stando lì. Olivetti e Tchou assumevano sempre questi dipendenti a gruppi di tre: un tecnico, un ingegnere e un umanista.

La sua grandezza sta quindi anche nel fatto di aver saputo raccogliere i migliori cervelli dell’epoca nel laboratorio di Barbaricina, nel pisano?

Sì, valutandoli non solo per quello che sapevano già fare, ma creando soprattutto delle alchimie per cui lui scommetteva su quello che queste persone avrebbero potuto inventare. Oltre ai tecnici e agli ingeneri, Tchou metteva allo stesso tavolo poeti come Franco Fortini, filosofi, umanisti, pittori e artisti. Lo faceva proprio perché loro dovevano inventare le intelligenze artificiali. Non era solo un fatto di ingegneria e di tecnica, ma anche di visione umanistica.

Dopo il successo di Black Box nel 2022, questo spettacolo conferma ancora una volta la passione di Maria Eugenia D’Aquino, unica protagonista dello spettacolo, per la matematica applicata alla tecnologia. E’ così?

Assolutamente sì! Sono addirittura vent’anni che Maria Eugenia si occupa di teatro e scienza. Credo che sia l’unica che continua a raccontare con così tanta passione e tenacia la scienza attraverso il teatro, in tutte le sue forme e declinazioni possibili, fino ad arrivare all’ingegneria. E’ un progetto bellissimo, che trova nel linguaggio teatrale una linea d’espressione magnifica. Direi che questo spettacolo può essere anche dedicato al papà di Maria Eugenia, l’ingegnere Giorgio D’Aquino, che le ha tramandato questa passione. Tutto lo spettacolo è una sorta di lettera che la macchina Elea scrive a suo padre Mario Tchou.

Il nome “Elea” significa Elaboratore Elettronico Aritmetico, ma è anche la città dove Parmenide ha sviluppato la scuola dell’essere-non essere 2500 anni fa: sono gli albori della filosofia occidentale, che si sposano perfettamente con il concetto di intelligenza binaria e artificiale. Zero-uno; Acceso-Spento; Essere-Non essere. E’ questa la straordinaria visionarietà di Mario Tchou: quella di mettere i filosofi allo stesso tavolo degli ingegneri!

  • Si ringrazia Giulia Colombo
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