Debutta venerdì 20 ottobre al Teatro Linguaggicreativi di Milano, dove rimarrà in scena fino a domenica 22, Open, uno spettacoolo tratto dal libro di André Agassi con Mattia Fabris e Massimo Betti alla chitarra. Scrive l’interprete: “Quando ho cominciato Open di André Agassi, mai e poi mai avrei pensato che avrebbe potuto appassionarmi la biografia di un campione di tennis. Uno sport che, in tutta sincerità, non avendolo mai praticato non riuscivo a capire fino in fondo. Sono rimasto folgorato. Open contiene tutti gli elementi di una vicenda avvincente, che tiene incollato il lettore fin dalle prime pagine. Agassi non è un tennista qualunque. E’ stato il numero 1 al mondo, ma Agassi odia il tennis”.
Quattro domande a Mattia Fabris
“Com’è nata l’idea di fare un reading teatrale tratto da un libro che parla di tennis?”
Avevo sentito parlare molto di questo libro. Premetto che non sono un amante del tennis e prima di leggerlo non avevo mai visto una partita in vita mia. Ho letto ad alta voce per caso il primo capitolo alla mia compagna e sono rimasto folgorato. Dopo la lettura del primo capitolo, ero fuori di me. Ho immediatamente chiamato l’organizzatore di una rassegna che si chiama “Fiato ai libri”. E’ una manifestazione che prevede la lettura ad alta voce di alcuni testi. Io sono regolarmente invitato, quindi dopo aver letto il primo capitolo dissi che avrei letto “Open”. E così è stato. Poi ovviamente ho dovuto leggere tutto il libro e mi è piaciuto tantissimo. Mi sono trovato nelle condizioni di dover fare una scelta drammturgica di riduzione e di reimpostazione della struttura. Così ho fatto.
Trovo che sia un libro che si presta moltissimo alla lettura ad alta voce, alla parola e alla messinscena perché è scritto in un modo tale che permette questo. Soprattutto, però, l’idea di farne un reading teatrale è nata perché la materia è davvero appassionante. Io dico sempre che il teatro ha bisogno di grandi storie nelle quali noi possiamo riconoscere le nostre piccole storie. Ecco, questo libro è così: ha un tiro epico. E’ la storia di un uomo, ma si potrebbe dire che è la storia di tutti gli uomini. E’ proprio una storia perfetta per il teatro.
“Perché Open racconta non tanto la storia di un tennista quanto quella di un uomo?”
Perché la prima pagina del libro dice già tutto. Dice: “Io gioco a tennis per vivere. Odio il tennis”. Teniamo conto che Agassi era il migliore del mondo. Questa dicotomia è quello che guida la strada di André nella ricerca di se stesso. Agli occhi del mondo lui è il miglior tennista, è il campione. Ai suoi occhi è un uomo che non sa come liberarsi di ciò che lo rende agli occhi degli altri ciò che è. Quindi il conflitto tra essere e dover essere, che è un conflitto che tutti quanti siamo chiamati a sostenere, e la ricerca di sé, su di lui sono manichei e paradigmatici. Il percorso che lui fa per cercare se stesso è talmente palese ed evidente che noi ci possiamo rispecchiare e possiamo individuare la nostra storia.
“Agassi ha avuto a che fare con un se stesso ingombrante?”
Più che con un se stesso ingombrante, ha avuto a che fare con una storia ingombrante. Il padre era un padre-padrone che lo ha costretto a giocare a tennis sin da quando era bambino. Quindi gli ha creato un gigantesco ingombro dentro di sé e soprattutto Agassi lotta contro l’idea della perfezione sempre inculcatagli dal padre. Questo tema della perfezione dentro di lui è molto ingombrante. Per cui si potrebbe dire che lui ha dovuto fare una lunga strada per capire che si può non essere perfetti, si può sbagliare e si può giocare a tennis per giocare. Quest’angoscia di perfezione lo ha portato alla sconfitta un sacco di volte, perché, come dici lui, se insegui la perfezione, se insegui qualcosa che non esiste, conduci una battaglia persa. Nel momento in cui capisce che può sbagliare e può perdere, comincia a vincere tutto.
“Perché Agassi in realtà odia il tennis?”
Perché lui è stato obbligato a giocarci. A colazione tennis, poi scuola, poi ritorno a tennis, poi compiti, poi tennis, poi letto, ma prima di andare a letto un po’ di tennis. Il tennis è stato il suo incubo. Non poteva fare altro. Non aveva la possibilità di scegliere. Dato che poi aveva un talento smisurato, non aveva vie di fuga.
Il padre ovviamente lo aveva capito e lo ha letteralmente costretto a giocare a tennis. Era un bambino che vinceva tutto, da piccolo non perdeva mai una partita. Il padre lo faceva giocare per soldi al club del tennis, scommettendo anche cifre importanti su di lui. Immaginatevi un bambino di dieci anni, che deve vincere perché il padre ha scommesso su di lui dei soldi, e che peraltro viene da una famiglia non abbiente. Quindi odia il tennis perché non può fare altro. E non ne può più di questa pressione continua che sente su di sé.