STEFANO ORLANDI, “ANCHE PER OGGI NON SI MUORE”

Era l’autunno del 1970 quando, sul palco di un teatro della provincia milanese, veniva alla luce (dei proiettori) il Signor G. Ma chi è? Nato dalla mente e dal corpo di Giorgio Gaber, con l’aiuto della penna di Sandro Luporini, il Signor G è un uomo qualunque: un piccolo borghese, che nasce, lavora, si innamora, si diverte e poi (forse) muore.
Un uomo del nostro tempo, pieno di contraddizioni e di ripensamenti, di slanci e frustrazioni, di lucide intuizioni e luoghi comuni.

Anche per oggi non si muore. Lo strano caso del “signor G” è in cartellone fino al 5 dicembre al Teatro Gerolamo di Milano. In scena troviamo Stefano Orlandi, Massimo Betti alla chitarra e Stefano Fascioli al contrabbasso. La regia è di Omar Nedjari.

Intervista a Stefano Orlandi

Il signor G viene visto come l’alter ego di Giorgio Gaber?

Sì e no, nel senso che lo inquadriamo come un suo personaggio, un suo figlio. Ci siamo ispirati un po’ all’idea di Sei personaggi in cerca d’autore. La visione drammaturgica originale che io ricercavo per interpretare i brani di Gaber è quella di immaginare che il signor G sia rimasto orfano. E’ un personaggio costretto a vagare sulla Terra dopo che Giorgio Gaber nel 2003 ci ha lasciati. Quindi abbiamo immaginato un uomo rimasto orfano del padre, che gira per i teatri e che non può più essere quello che era stato quando Gaber era in vita. Questo è l’escamotage drammaturgico da cui parte tutto lo spettacolo. Non so se fosse proprio il suo alter ego.

Attraverso il signor G, Gaber poteva raccontare il suo modo di vedere il mondo, ma anche allontanarsi da sé. Era in grado di guardare anche quello che avrebbe potuto essere, se non avesse avuto l’intelligenza e la capacità di essere artista, e quindi critico nei confronti della società. I personaggi parlano di noi ma ci consentono anche di guardare il mondo sotto un altro punto di vista, come fa anche il clown, se vogliamo esagerare. Noi portiamo in scena un pagliaccio, anche se sicuramente il signor G era un uomo, un personaggio, uno che viveva la realtà e si scontrava con essa, con i suoi problemi e le contraddizioni. Da medio borghese cercava di arrabattarsi in questo mondo. Gaber aveva sicuramente uno sguardo molto più lucido del suo signor G.

Potrebbe essere ognuno di noi?

Assolutamente sì. Ognuno nella vita trova un suo modo per uscire da questa condizione, ma noi medio borghesi dobbiamo tutti fare i conti con la situazione del signor G.

In scena rappresentate molte canzoni di Giorgio Gaber. Quanto hanno raccontato delle trasformazioni della società italiana?

Lo hanno fatto un po’ tutte, perché parlano di un uomo che si trova molto all’interno della società italiana, che in realtà è molto più ampia. Le canzoni parlano della vita del personaggio e questo era l’obiettivo di Gaber. Attraverso il signor G lui voleva raccontare il suo rapporto con tutta la società. Abbiamo tralasciato le canzoni più politiche, proprio perché secondo me ora Gaber le avrebbe cambiate e stravolte. Forse avrebbe scritto parole diverse. Quindi abbiamo tenuto l’uomo.

Perché parlate dell’esistenza del signor G come di quella di un fantasma?

E’ semplicemente un escamotage drammaturgico. Non volevo fare uno spettacolo in cui mettevo in scena le canzoni di Gaber come faceva lui. Desideravo trovare una scappatoia per entrare in modo diverso nel repertorio di Giorgio Gaber. Questo aspetto e la storia di questo personaggio saranno molto chiare per chi vedrà lo spettacolo.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Maurizia Leonelli per la collaborazione
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