“STABAT MATER”, IL DOLORE E IL CORAGGIO DI UNA MADRE

Nel XIII secolo a Jacopone da Todi vene attribuita una preghiera, lo Stabat Mater. L’autore Antonio Tarantino ne prende oggi in prestito la struttura, il nome, la figura della madre e la tematica del dolore. Nasce così uno spettacolo teatrale diretto da Giuseppe Marini che vede protagonista Maria Paiato, in scena al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano fino al 18 febbraio. Tarantino si assume l’arduo compito e la difficile responsabilità di attualizzare una figura epica come la Madre di Cristo e di trasferirla nella realtà della nostra epoca. Ecco quindi che sulla scena il pubblico si trova di fronte a una ragazza-madre prostituta, in attesa di un figlio concepito con un uomo sposato. Un figlio che disattenderà aspettative e speranze della donne, perché sceglierà la strada della malavita.

Parla Maria Paiato

“Che cosa l’ha spinta ad accettare questo ruolo e cosa le piace del suo personaggio?”

“Ho detto di sì con grande piacere dopo la telefonata di Giuseppe Marini che mi ha proposto il testo. Lo conoscevo già perché lo avevo portato in scena in un’edizione precedente con la regia di Valter Malosti. Del personaggio mi piacciono la potenza e la simpatia con cui affronta una disperazione senza fine. Siamo di fronte a una combattente e il testo è scritto con una gamma di colori e potenzialità espressive talmente ampia che tutto diventa molto piacevole”.

“E’ un personaggio che nonostante la perdita della propria dignità risulta lo stesso vincente?”

“Risulta vincente per la breccia che riesce ad aprire nel pubblico, ma la sua non è la vicenda di una donna vittoriosa, perché alla fine perderà un figlio e nessuno la soccorrerà. A essere vincente è più che altro la sua forza di essere viva, vitale e di andare avanti in modo animalesco”. 

“Io volevo anche parlare degli altri personaggi: il dottor Ponzio, cioè Ponzio Pilato, che decreterà l’arresto del figlio; la signora Trabucco, funzionaria dell’assistenza sociale; Don Aldo, un prete combattuto tra sacro e profano, tra il suo ruolo e quello di uomo soggetto ancora alle relazioni personali,e il Dottor Caraffa, che imprigiona e condanna il figlio. Sono sempre interpretati da lei o li cita soltanto? E quanto sono importanti?”

“Sono tutti interpretati dal mio personaggio, Maria Croce. Lei propone imitazioni e ripresentazioni. Fanno parte della sua vita, e citandoli li imita. Sono importanti perché dovrebbero aiutarla nella ricerca del figlio. In realtà nessuno di loro si presenta e quindi la loro assenza – che diventa presentissima – mette ancora più in evidenza l’estrema solitudine di Maria e di tutto il genere umano”. 

“Parliamo un po’ anche del linguaggio, un italiano che non è sempre purissimo, perché presenta anche espressioni dialettali. E’così?”

“Esatto. Si ha come l’impressione che l’autore abbia fatto una registrazione di espressioni improvvisate ad alta voce che si sono trasformate in un fiume di parole. In seguito sono sicuramente state fatte puliture, limature e ricollocazioni. Replica dopo replica, mi rendo conto che le parole hanno un valore, che non sono state scelte a caso solo per dare l’idea di una chiacchierata quotidiana un po’ sgangherata. Sono state collocate in modo ben preciso in quanto dense di tanti altri significati. Anche una parola semplice come pace si arricchisce di tante altre valenze”.