Ginestra Paladino, “Ritratto di Dora M.”

Una figura femminile che rimarrà nella storia: forte e fragile allo stesso tempo, purtroppo piena di contraddizioni: Dora Maar è stata protagonista di tutto il Novecento attraversandolo per intero, dal 1907 al 1997. Nella prima metà della sua vita visse il cuore della Parigi artistica e culturale dell’epoca. La sua carriera fotografica fu breve ma intensa finché, spinta da Picasso, si dedicò alla pittura. Alla fine della sua relazione con il genio di Malaga, Dora è una donna spezzata, in preda a crisi psicotiche…

Ginestra Paladino è l’unica protagonista di Ritratto di Dora M., un testo di Fabrizio Sinisi diretto da Francesco Frongia in scena al Teatro Filodrammatici di Milano fino al 26 febbraio.

Intervista a Ginestra Paladino

Quanto è stato un pugno nello stomaco per te portare sul palcoscenico una figura come quella di Dora Maar?

Dora Maar è di sicuro la personalità più drammaticamente e drammaturgicamente interessante di tutte le donne che hanno attraversato la vita di Picasso. Nonostante ognuna di loro abbia infatti subito violenza psicologica da parte di questo grandissimo artista, lei è riuscita nella sua vita a sopravvivere, malgrado la sua esistenza si sia interrotta a livello sociale e artistico quando aveva solo 36 anni. Nel momento in cui mi sono interfacciata con i suoi racconti, sono rimasta estremamente colpita perché c’era una fragilità abbastanza evidente. Allo stesso tempo, però, era una donna molto forte.

C’era una simbiosi bilaterale all’interno della sua personalità, perché lei non si è fatta schiacciare fino a morirne come successe ad altre sue due compagne. Contemporaneamente ha però annullato la propria personalità artistica e non è più uscita di casa. Portarla sulla scena non è semplicissimo, perché davanti a una situazione così forte si ha sempre paura di andare oltre o di dire poco. Riproporla dopo quattro anni è un’esperienza ancora più profonda, perché rispetto al 2019 ho un altro occhio.

In che cosa stava la grandezza della sua arte?

Oltre a far parte del gruppo dei surrealisti, Dora Maar aveva la capacità di cogliere dei particolari abbastanza insoliti nella fotografia. Amava fotografare quelli che lei definiva “i derelitti”; era interessata a guardare le parti più in ombra dell’umanità e alla famosa “zone” parigina. Per aver vissuto negli anni Trenta, fu considerata una figura un po’ avventata e fuori luogo perché si avventurava tra le baracche dei poveracci. Lei era però interessata a quel tipo di fotografia. Forse è un paragone azzardato, ma era un po’ una sorta di Letizia Battaglia ante litteram (fotografa scomparsa nel 2022, famosa per aver fotografato la Palermo più degradata e disperata della povertà e della mafia; n.d.r). Dora non era interessata alla bella foto, ma a quella d’impatto. Si appassionava visceralmente e politicamente a quello che succedeva alle masse.

Sono in realtà tre i lati di Dora M. che proponi sul palcoscenico. Vuoi presentarceli senza anticipare troppo?

Per prima c’è la donna che arriva giovanissima a Parigi da Buenos Aires, pronta ad affrontare la parte lavorativa e sociale con l’entusiasmo più grande che ha dentro. C’è poi la Dora che, dopo aver avuto una relazione allegra con George Bataille, incontra Picasso e ne rimane folgorata per il mito artistico, innamorandosi in seguito dell’uomo. Questa è la parte sicuramente più struggente, perché dal primo incontro fino all’abbandono, noi raccontiamo degli aspetti non facilissimi. Picasso la disintegra infatti lentamente in quei pochissimi anni che stanno insieme. Nel frattempo lei diventa l’unica testimone di Guernica. Infine c’è la parte finale della vita di Dora, ovvero la reclusione psicologica e fisica alla quale Picasso la destina da quando aveva 37 anni fino alla fine, arrivata nel 1997 all’età di 90 anni. Però è come se lei avesse smesso di vivere a 37.

Oggi si dice che la più grande rivoluzione è essere se stessi. Possiamo definire anche Dora Maar una figura rivoluzionaria?

Penso proprio di sì, perchè Dora a un certo punto chiede di non avere pietà di lei, dato che è stata lei stessa a scegliere di essere quella che era e a decidere la propria condanna. Possiamo scomodare tematiche di subordinazione psicologica, ma io penso che in lei ci fosse una forte consapevolezza. Dora si è affacciata al mondo lavorativo e alla sua vita personale con grande cognizione di sé. E’ stata una rivoluzionaria in quanto donna negli anni Trenta e perché è riuscita a domare un artista indomabile come Pablo Picasso.

  • Intervista di Andrea Simone
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  • Si ringrazia Anna Defrancesco Gatti