Paolo Panizza, “Pour toi”

Pour toi è una performance immersiva intorno all’amore tossico. Un luogo sconosciuto, a momenti un mattatoio. Uno spazio nero, cosparso da lettere ingiallite e tante sedie vuote, ribaltate, impilate. Quattro microfoni ondeggiano come pendoli. In proscenio una membrana di plastica separa il pubblico dallo spazio scenico.

Immagini del canale Youtube “Paolo Panizza”

Pour toi è in scena al Teatro Out Off di Milano fino al 27 marzo. Il concept, la regia, le luci e lo spazio scenico sono di Paolo Panizza, che ha anche firmato i testi insieme alla dramaturg Agnes Oberauer. Ne sono protagonisti Lea Blau, Juan Fran Cabrera, Giulio Cagnazzo, Maya Libera Castellini, Manuel Macadamia e Marica Mastromarino.

Intervista a Paolo Panizza

Perché si parla di amore tossico in questo spettacolo?

E’ un tema che mi ha sempre affascinato. Ci sono stati molti amici che sono passati attraverso questa cosa e mi sarebbe piaciuto affrontarla in maniera più approfondita, soprattutto rispetto al periodo di reclusione, contatti stretti e persi che abbiamo vissuto. Parlando con gli attori, è un tema che ricorre sempre e che accende. Per me questo è molto importante nel lavoro con gli attori stessi, perché faccio una tipologia di lavoro che non parte dal testo ma dalla creazione, dalla sperimentazione e dalla ricerca, per approdare all’emersione di un testo. Ci sono duplici fattori: un interesse e una vicenda personali anche degli attori stessi della compagnia e di tutti quelli coinvolti.

La scenografia è molto importante qui, giusto?

Molto. Noi abbiamo lo schema di una plastica particolare in proscenio che va a ricreare una polaroid gigante. Infatti all’inizio dello spettacolo ci sarà un performer che scatterà una fotografia a un fiore e da lì si verrà a sviluppare l’immagine sulla scena in continuo. C’è quindi un elemento scenico molto importante in proscenio e poi abbiamo tante sedie vuote ma con una presenza, nel senso che sono appartenute a qualcuno. Sono il segno che qualcuno era lì e non c’è più. In questo modo i performer agiscono, si incontrano, si distruggono e ricominciano in questo landscape di sedie. La loro presenza consolante è un elemento fondamentale all’interno di questa grandissima polaroid.

Che cosa significa che questa è una performance tra presenza e assenza?

Lo è per molti fattori, prima di tutto dal punto di vista sonoro. Tutti gli attori sul palco generano dei suoni semplici come una camminata, una sedia che cade, un urto contro qualcosa. Questi vengono trasmessi da quattro microfoni appesi e rielaborati creando una composizione sonora live che echeggia. Tutte le loro azioni hanno quindi delle ripercussioni nel paesaggio sonoro non solo sui performer ma anche sul pubblico, su come questo si modifica nel tempo. C’è una presenza costante di elementi passati che interagiscono con la scena e l’azione. L’altro elemento della presenza/assenza è la continua ricerca dell’altro che non c’è più nelle sedie vuote e attraverso le luci che vanno a rimarcare il costante senso di un’assenza.

E’ più l’analisi di un amore o di quello che ne resta?

Di quello che ne resta, anche se ci sono delle scene che analizzano l’amore in sé, ma il fulcro finale è ciò che ne resta.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringraziano Ippolita Aprile e Maria Luisa Giordano per la collaborazione
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