PAOLO ROSSI, “IL RE ANARCHICO E I FUORILEGGE DI VERSAILLES”

Torna al Teatro Menotti fino al 31 dicembre Paolo Rossi, il più imprevedibile e irriverente comico italiano. Questa volta Rossi non è solo autore, ma anche regista e protagonista di “Il re anarchico e i fuorilegge di Versailles”. In questo spettacolo presenta la quinta e ultima tappa della sua lunga esplorazione intorno all’universo di Molière in una performance nuova ogni sera.

Sul palco anche un’eccellente compagnia di attori  da lui capitanati: Renato Avallone, Marianna Folli, Marco Ripoldi, Chiara Tomei, Francesca Astrei e Caterina Gabanella. Le musiche sono eseguite dal vivo da Emanuele Dell’Aquila e Alex Orciari.

Il trailer dello spettacolo

Intervista a Paolo Rossi

“Ancora una volta i Fuorilegge sono persone che vivono ai margini della strada e non hanno diritto di parola.  Qual è invece il ruolo del Re anarchico?”

“Il re anarchico è colui che conosce le regole del caos, un concetto matematico che stiamo vivendo adesso. E’ ben differente dalla confusione, che è solo rumore.”

“E’ il sogno la dimensione più importante di questo spettacolo?”

“Il sogno ha sempre rappresentato per me una via d’uscita di salvezza creativa non da poco. Alcunie persone sono molto più creative quando si trovano nel disordine e nel delirio onirico ben organizzato che nella riproduzione di una realtà. Questo porta alla capacità di immaginare il passato e di ricordarsi il futuro. E’ quello che ci vuole adesso per capire dove siamo, chi siamo, dove stiamo andando e perché restiamo fermi.”

“C’è tanta improvvisazione che però richiede anche molta preparazione, perché lo spettacolo è un po’ diverso ogni sera. In che modo?”

“L’improvvisazione viene spesso spacciata per una dote estemporanea. Sicuramente è un talento che uno può avere o non avere, però è una disciplina quasi militare. Richiede allenamento e un virtuosismo soprattutto nell’ascolto. Se manca, l’improvvisazione diventa molto più difficile. Allo stesso modo si devono avere anche delle regole, quindi una scrittura drammaturgica. Se queste non ci sono, cosa si “rompe”? Niente.

La nostra scrittura è quasi jazzistica, nel senso che c’è un testo ben preciso: ogni sera c’è la possibilità di modificare qualcosa che non appartiene solo al testo. Può essere anche una tensione conflittuale tra gli attori, tra i personaggi o tra le persone che stanno sul palco; può essere la capacità di captare l’umore del pubblico o ascoltare cosa sta succedendo fuori dal teatro. E’ una disciplina molto nostra e nasce dalla commedia dell’arte. Per questo si parla di Molière e di Versailles. Nel sogno si può viaggiare da Versailles fino al 2150 passando per George Best. Si può fare di tutto di più!”

“In che modo le visioni del tempo presente si incrociano con la storia del conflitto tra il potere e i fuorilegge?”

“La cultura popolare spesso è stata una specie di ponte tra i margini e la società cosiddetta “perbene”, non solo per un folklorismo molto banale, ma perché uno viene a teatro e ha la possibilità non solo di ridere e di passare una piacevole serata, ma anche di fare un piccolo viaggio dentro se stesso. Questo dà la possibilità di capire che spesso i buoni sognano una cosa, i cattivi invece la fanno. “

“Come festeggeranno il Capodanno al Teatro Menotti di Milano il Re anarchico e i fuorilegge di Versailles?

“Il 1° gennaio chi è stato qui mi racconterà cos’abbiamo combinato!”