I “PARASSITI FOTONICI” DI BRUNO FORNASARI E TOMMASO AMADIO

 

Dopo il successo del 2016, torna al Teatro Filodrammatici di Milano fino al 19 novembre Parassiti fotonici, commedia contemporanea di Philip Ridley che ha debuttato a Londra l’anno prima. Un testo che con ardite allegorie e metafore mostra fino a che punto può spingersi una coppia in attesa di un figlio per garantirsi il possesso di una casa. Un’emissaria del Comune propone loro un’abitazione in regalo: i due dovranno solo farsi carico delle spese di ristrutturazione. Sembra tutto troppo bello e infatti la casa dei sogni si rivelerà un tugurio fatiscente con i muri scrostati. A un certo punto, inoltre, la vicenda si tinge di giallo perché arriva addirittura a scapparci il morto…

Lo spettacolo è stato tradotto da Bruno Fornasari, che ha firmato anche la regia. In scena troviamo Tommaso Amadio, Federica Castellini ed Elisabetta Torlasco.

 

Parla Tommaso Amadio

“Perché tu e Bruno Fornasari vi siete innamorati di questa commedia a tal punto da volerla portare in scena?”

Perché l’attualità del tema era per noi stringente. E poi perché è legato a un argomento attualissimo come quello della casa, alla precarietà di una generazione che non ha nemmeno le possibilità di ambire a un’abitazione di proprietà da lasciare ai propri figli. A questo si aggiunge una riflessione sul desiderio sempre più compulsivo di questa società di avere cose a danno di altri.

Questo rende il testo una straordinaria rilettura del “Macbeth“, perché anche se con toni più leggeri, la coppia è chiaramente modellata sul testo scespiriano. C’è una lady determinatissima che è la mente della coppia, mentre lui rappresenta il braccio che si piega alle volontà della moglie. Esiste anche la figura del Fato, rappresentata dalla signorina Dee, che fa il famoso patto della casa. Siamo di fronte a una favola nera.

“Quant’è importante il risvolto psicologico dei personaggi?”

Qui la psicologia è la conseguenza dei comportamentiNon partiamo dal presupposto di creare una psicologia a priori, ma la deduciamo con gli spettatori a seconda dei comportamenti. E’importante vedere come i due soggetti, marito e moglie, si influenzino cercando sempre di trovare una giustificazione ai propri comportamenti che diventano man mano sempre più efferati. E’ quello che facciamo anche nella vita: non ci giudichiamo mai come delinquenti, sanguinari o persone insensibili. Partiamo sempre dal presupposto di avere la giustificazione di atteggiamenti a volte anche ferocissimi.

“Perché durante la narrazione emergono degli elementi che ricordano un patto faustiano in piena regola?”

Con questa domanda cogli perfettamente uno degli aspetti della struttura testuale. Il patto faustiano, rappresentato dalla signorina Dee, è costruito sul crinale tra realismo e favola, dove lei incarna una figura tentatrice e luciferina. Come tutte le tentazioni vere, però, è estremamente seducente. Il patto proposto non viene visto come un qualcosa di deleterio, ma di estremamente vantaggioso e seduttivo.

“E’ giusto dire che i personaggi da vittime di una situazione si trasformano in paladini della giustizia ed eroi?”

Mi verrebbe da dire che da vittime di un sistema sociale cercano di trarne un proprio tornaconto. Quindi credo che il pubblico stia molto al gioco e che di fatto si identifichi con i personaggi giustificandone le azioni. Gli spettatori si ritrovano e si rivedono. Nel loro essere divertenti e divertiti da quello che raccontano, i personaggi sono molto seducenti. Si comportano in modo amorale, ma la comicità alleggerisce tutto permettendo quindi di creare una sorta di patto curioso tra platea e palco. Di fatto noi risultiamo molto simpatici al pubblico. Come sempre, l’uomo ragiona più in termini di empatia che di logica stretta. Quindi è come se a un certo punto la crudezza di questa storia passasse in secondo piano rispetto alla simpatia che riusciamo a esprimere. Questo è il patto più faustiano che il testo riesce a costruire, in maniera secondo me molto intelligente.