Sofia Pelczer, “Ragazze di vetro”

Esther, vincitrice di un’importante borsa di studio, passa un mese a lottare con la depressione, cercando disperatamente di ritrovare la studentessa di successo e grintosa quale era. La svanita capacità di scrivere, di dormire e interagire con le persone, la portano a ingoiare un flacone di sonniferi. Il suo corpo viene ritrovato inerte, ma vivo…

Immagini del canale Youtube “Pacta dei Teatri”

Ragazze di vetro è in scena al Pacta Salone di Milano dal 24 al 27 marzo. L’adattamento è di Maddalena Mazzocut Mis e Sofia Pelczer, che ha anche firmato la regia. Ne sono protagoniste Francesca Tripaldi e Federica Garavaglia. La voce fuori campo è di Sara Zanobbio.

Quattro domande a Sofia Pelczer

Sotto che luce viene affrontato il tema della depressione?

Positiva e speranzosa, perché il messaggio che si vuole dare è il percorso di guarigione che Sylvia Plath compie nel suo romanzo autobiografico La campana di vetro ed è quello che ci interessa.

Era più difficile affrontare il problema della depressione una volta rispetto a oggi?

Sì, certamente, è uno spettacolo che era stato programmato per il 2020, quindi prima del lockdown, quando era un tema genericamente esistente. Nei due anni precedenti, ma anche tuttora, quest’argomento ha avuto un grande ritorno alla luce. Purtroppo e per fortuna, nel senso che disgraziatamente c’è stato un aggravamento della situazione della depressione giovanile di cui parliamo noi, visto che la protagonista ha 20 anni quando tenta il suicidio. Per fortuna, visto che è un tema importante che richiede prevenzione e attenzione da parte del mondo che circonda questi soggetti psichicamente fragili. Quindi è un gesto importante.

Che tipo di rapporto si instaura tra le protagoniste?

Esther è interpretata da Francesca Tripaldi, mentre l’altra attrice Federica Garavaglia fa tutte le altre parti, che non sono tantissime, ma che si presentano intorno al personaggio principale. Sono ruoli femminili, nel senso che la drammaturgia ha scelto di escludere il maschile dal copione e si concentra sul rapporto tra madre e figlia, tra psicologa e paziente nella parte riguardante il manicomio e un’amica del cuore, che è una specie di alter ego che percorre una strada molto simile a quella di Esther.

C’è come una specie di solidarietà tra Esther e la sua amica?

E’ un rapporto complesso che inizia con una competizione e con un fidanzato condiviso in passato. Quindi c’è una concorrenza molto adolescenziale tra due personaggi diversi tra loro, che però nella loro fragilità si scoprono pian piano simili rispetto al mondo che li circonda. Da parte di Joan c’è una tendenza omosessuale nei confronti di Esther. Lei invece ha la necessità di rimanere da sola e concentrarsi sulla scrittura che in quel momento e poi per sempre, essendo lei l’alter ego di Sylvia Plath, sarà il suo amore assoluto.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Giulia Colombo per la collaborazione
  • Clicca QUI per iscriverti al canale Youtube di Teatro.Online e vedere tutte le nostre interviste video