“Libertà” è una parola che segna con forza la nostra contemporaneità, soprattutto dopo che la pandemia ancora in corso ci ha ricordato drammaticamente il senso di termini come “segregazione”, “isolamento”, “costrizione”, “solitudine”. Oggi ognuno di noi vorrebbe essere libero. Libero di fare, libero di muoversi, di autodeterminarsi, di abbracciare, di incontrare, di dire la propria sui social, di esprimere se stesso senza se e senza ma.
s/Calvino – o della libertà, scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta è in scena al Teatro Carcano di Milano dal 15 al 19 marzo.
Quattro domande a Mario Perrotta
Perché associa Italo Calvino alla libertà?
Perché in tutta la sua produzione letteraria è stato un tema costante. Calvino intendeva la libertà come autodeterminazione, dove inizia e dove si ferma l’autodeterminazione dell’essere umano che vive in una società fatta di altri individui. Quindi il principio cardine della libertà che ci hanno regalato gli illuministi per lui è quasi un’ossessione. Intorno a quel tema, nonostante cambi interessi, l’argomento resta costante e l’ho sempre ravvisato. Siccome io sto ragionando da anni intorno a questa parola così fragile, “libertà”, messa molto a rischio dalla contemporaneità, ho pensato che fosse il momento giusto e la ragione valida per mettere le mani a mio modo sull’opera di Calvino.
Con che cosa si scontra il desiderio di libertà?
Intanto con l’interpretazione che ognuno di noi ne dà, perché un conto è comprendere quel principio filosofico, giuridico e di vita sociale che ci hanno regalato gli illuministi e che stabilisce che la mia libertà finisce dove inizia o dove lede la tua. E’ quindi un principio di reciprocità su cui si basano tutte le nostre costrizioni. Un altro conto è se invece per libertà si intende fare quello che ci pare e che ci sono io, i miei interessi e poi il resto del mondo. E’già uno scontro violento tra due modi diversi di intenderla. Il secondo è prevaricatorio. La pandemia ha messo fortemente al centro della discussione proprio questa differente interpretazione.
Secondo lei “libertà” è una parola che andrebbe ripensata?
Avendo fatto studi classici ed essendo laureato in filosofia, mi ricordo che periodi floridi dell’umanità come l’epoca greca e l’illuminismo, dal punto di vista del pensiero, ci hanno regalato lo stesso identico modo di intendere la libertà. E’ una reciprocità che sinceramente vorrei mantenere, almeno per il nostro modo di vivere. Poi uno può pensare che i Paesi dove si coltiva la libertà del più forte siano i più interessanti, ma anche democrazie occidentali come gli Stati Uniti praticano spesso la logica del più forte. Io sinceramente preferisco quella europea e vorrei temermela.
“Libertà è ancora partecipazione” come cantava Giorgio Gaber?
Assolutamente sì e non è stare sopra un albero. Non è salire come Cosimo del romanzo Il barone rampante sull’albero e guardare dall’alto, perché è comunque un modo di tenersi le mani pulite. “Io sono quassù, laggiù vi disprezzo un po’, partecipo, però io resto quassù”. Lo si può fare se si hanno 12 anni come Cosimo e se si è adolescenti. Dopo uno diventa adulto, scende dall’albero, partecipa e si sporca le mani, perché la democrazia, la libertà, il viver civile, ma anche l’amore, le passioni terrene e personali e le relazioni sono cose “sporche”. Bisogna starci dentro, non si può affrontarle in maniera asettica come se si fosse in una sala operatoria. Libertà è partecipazione nel senso di stare dentro alle cose.
- Intervista di Andrea Simone
- Clicca QUI per iscriverti al nostro canale YouTube e vedere tutte le interviste video di Teatro.Online
- Si ringrazia Cristiana Ferrari