Marco Pezza, “Levitico Pentateuco #3”

In un Paese in cui gli immigrati sono fuorilegge, il Movimento Liberazione Immigrati porta avanti una Rivoluzione contro il Governo. Il Movimento ha però bisogno di risorse sempre nuove, dato che è costretto alla clandestinità, servono soldi per le famiglie degli scioperanti e mezzi per l’organizzazione.

Levitico Pentateuco #3 è in scena al Pacta Salone di Milano dal 13 al 16 ottobre. Lo spettacolo vede protagonista Marco Pezza, che ha anche scritto il testo con Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, a sua volta regista. La voce fuori campo è di Francesca Boscaro.

Intervista a Marco Pezza

Questo spettacolo affronta molto il tema delle regole. In che modo?

Nella maniera che ci è venuta più congeniale: ci siamo ispirati al racconto di Jack London, The mexican, che parla della boxe clandestina. Come tutti gli sport, anche la boxe ha delle regole di allenamento, di alimentazione, di conduzione dei combattimenti che variano a seconda degli avversari. E’ uno sport che richiede disciplina e autodisciplina. Il Levitico è uno dei libri dell’Antico Testamento, precisamente il terzo, che parla della migrazione dei popoli di Israele dall’Egitto alla Terra Promessa attraverso il deserto. In un viaggio così pericoloso bisogna darsi delle regole di sopravvivenza. Abbiamo quindi sovrapposto quelle del Levitico con quelle di The Mexican e ci siamo inventati il testo e la drammaturgia originale con sei personaggi, ognuno dei quali segue le proprie regole di vita per condurre il proprio operato e raggiungere i propri obiettivi.

Perché siete partiti proprio dal racconto di Jack London?

Perché io avevo fatto una proposta a Marco Di Stefano, in cui gli dicevo che mi sarebbe molto piaciuto fare uno spettacolo sulla boxe, uno sport che mi ha sempre affascinato anche se non l’ho mai praticato, perché è romantico e risale ai tempi di Pitagora. Da cosa nasce cosa e, avendo fatto Marco boxe in passato, ci siamo trovati su un terreno comune di curiosità ed esperienze. Questo monologo è stato così inserito in un progetto più ampio, il Pentateuco, fatto di cinque soliloqui sul tema della migrazione.

Qui è centrale il tema delle distopie. Che cosa sono?

Distorsioni del presente. In questo spettacolo c’è una presa di posizione da parte degli ultimi: i clandestini, i migranti, gli invisibili, che dicono: “Basta. Vogliamo giustizia, equità sociale, dignità e diritti”. Questa distopia vede la presa di posizione di queste persone inascoltate e in fuga. Noi abbiamo cercato di metterci dal loro punto di vista e dalla loro parte: immaginiamo che potrebbero eventualmente reagire così a uno status quo che li costringe a essere gli ultimi della società.

Tu interpreti sei diversi personaggi – non so se in cerca d’autore o meno – che però sono diversissimi fra loro. E’ così?

Sì. Cinque sono ricorrenti e l’ultimo è a sorpresa. E’ molto divertente e stimolante proprio perché sono differenti per carattere, per modo di parlare, di agire, di pensare e per estrazione sociale. Il testo è nato come una scrittura di scena, non è stato scritto prima a tavolino e poi provato. Con attore, regista e autrice abbiamo fatto delle triangolazioni e ci siamo inventati questi personaggi: il ministro, l’organizzatore d’incontri, l’allenatore, il pugile, il messicano e un poliziotto che deve garantire la sicurezza, ma che non sappiamo bene se sia un agente o un rappresentante dell’ordine costituito. Ognuno di loro è già in conflitto con gli altri per il proprio ruolo all’interno di questo mondo distopico.

  • Intervista video di Andrea Simone
  • Si ringrazia Giulia Colombo per la collaborazione
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