Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, “Made in Ilva”

Made in Ilva intreccia le testimonianze dei lavoratori dell’Ilva con i frammenti poetici dell’opera di Luigi Di Ruscio e testi appositamente composti. Le musiche, i ritmi ossessivi, i canti originali, l’approccio fisico, poetico e di forte impatto visivo, fanno dello spettacolo un’opera d’arte totale. Made in Ilva esprime una critica universale al processo di brutalizzazione generato dal sistema di produzione contemporaneo.

Lo spettacolo è in scena al Pacta Salone di Milano fino al 26 marzo. La regia è di Anna Dora Dorno. Ne è unico protagonista Nicola Pianzola.

Immagini del canale YouTube: “Instabili Vaganti”

Intervista ad Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola

Quanto questo è uno spettacolo di denuncia?

Anna Dora Dorno: Secondo me lo è molto, ma non è diretta. Noi non parliamo dei dati, non è quello che ci interessa, ma ci importa più che altro il fatto che lo spettatore sia immerso all’interno di sensazioni ed emozioni provate dalle persone che vivono a Taranto o che lavorano all’Ilva. Quindi pensiamo che il teatro abbia la funzione sociale di far immergere gli spettatori all’interno di una situazione, di fargliela provare, assaporare e sentire.

Quali sono le fonti su cui è stato costruito lo spettacolo?

Anna Dora Dorno: Sono diverse, perché noi abbiamo innanzitutto intervistato gli operai di Taranto, soprattutto quelli giovani, costretti a fare i turni peggiori, a eseguire le mansioni più pesanti e a lavorare agli altiforni. Abbiamo anche attinto dalla letteratura e dalla poesia, quindi ci sono alcuni frammenti poetici di Luigi Di Ruscio, il poeta operaio, ma anche alcuni passi tratti da Lenz di Peter Schneider. E poi abbiamo messo alcuni testi scritti da noi che formano la drammaturgia dello spettacolo.

Che rapporto c’è tra organicità del corpo e inorganicità delle azioni legate al lavoro in fabbrica?

Nicola Pianzola: Sono proprio la dicotomia e la dialettica che abbiamo indagato in tutto il processo di lavoro. Siamo partiti dalla ricerca su ciò che è organico e che quindi caratterizza il nostro modo di fare teatro e il nostro approccio al movimento in unione con la parola nella ricerca di una naturalezza per arrivare alla verità. Di conseguenza ci siamo trovati di fronte a elementi inorganici, abbiamo cioè ricreato un ambiente inorganico intorno a noi attraverso ripetizioni di gesti, ritmi frenetici ossessivi, suoni, musiche, videoproiezioni, cose artificiali, fredde e asettiche. In scena ci sono una lamiera e una scala di ferro che viene trasformata in tanti oggetti e che assume diversi significati. Lo abbiamo fatto per fare in modo che il performer continuasse a lottare per la ricerca dell’organicità interagendo e rispondendo ai comandi di un ambiente inorganico, asettico, di una prigione costruita intorno a lui. E’ in questa tensione alla ricerca dell’organicità e del proprio bioritmo che si basa tutto i processo dello spettacolo.

Che cos’è il processo di brutalizzazione?

Nicola Pianzola: E’ quello al quale il nostro operaio status symbol cerca di resistere. E’ tutto quello che ci porta a essere non umani, a brutalizzarci attraverso l’assunzione di qualcosa che non fa parte della nostra natura come i ritmi imposti, l’atto di sporcarsi le mani, di essere sottoposti a turni estenuanti, di spersonalizzarsi. Infatti il nostro operaio arriva a dire di non riconoscere più il suo volto specchiandosi in una maschera di saldatore.

  • Intervista video di Andrea Simone
  • Clicca QUI per iscriverti al canale YouTube di Teatro.Online e vedere tutte le nostre interviste video
  • Si ringrazia Giulia Colombo