ANDREA PIAZZA, “LE SERVE”

Claire e Solange sono due cameriere modello al servizio di una ricca Madame, ma ogni volta che la donna esce di casa le due ragazze iniziano a giocare alla serva e alla padrona. Un giorno, però, il gioco inizia a sovrapporsi alla realtà…

Le serve di Jean Genet è in scena al Teatro Out Off di Milano fino al 21 novembre con la drammaturgia di Ciro Ciancio e la regia di Andrea Piazza. Lo spettacolo vede protagoniste Monica Bonomi, Giulia Amato e Maria Canal.

Parla Andrea Piazza

Questo spettacolo si ispira a un fatto di cronaca avvenuto nella Francia degli Anni Trenta. Cosa successe esattamente?

Fu un episodio di “nera” molto sanguinario che sconvolse la Francia dell’epoca: due sorelle molto giovani, Christine e Léa Papin, di 28 e 21 anni, prestavano servizio come cameriere presso una signora molto ricca nel nord della Francia. Una sera la signora tornò a casa con la figlia adolescente e si verificò un incidente banale di poco conto: la donna vide una cartaccia per terra e rimproverò le due ragazze, che persero la testa e massacrarono madre e figlia furiosamente. I particolari del duplice omicidio sono davvero macabri e raccapriccianti. Dopo aver compiuto il delitto, lasciarono i cadaveri in salotto e andarono a dormire abbracciate nella loro camera da letto, aspettando il ritorno del padrone di casa che trovò massacrate la moglie e la figlia. A quel punto la polizia, allertata dal padrone di casa, accorse sul posto e trovò le due assassine ancora in attesa.

Questo delitto fece un grande scalpore all’epoca, sia per la sua ferocia sia per il fatto che le responsabili erano due governanti che avevano ucciso le persone che le ospitavano. Quindi si sparse anche il terrore. Lo psicanalista Jacques Lacan iniziò a parlare di “delitto di paranoia”, una categoria cui secondo gli esperti appartiene anche la strage di Erba del 2006, commessa dai coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi. Questa teoria spiega che se si idealizza qualcuno, quell’ideale diventa così forte e così grande nella mente da andare oltre. Quindi va eliminato, perché nella testa è diventato una presenza troppo grande e invadente. Genet si distacca poi molto da questo fatto di cronaca, ma lo spunto prende avvio da quest’atmosfera nera e da questo tentativo di omicidio.

In questo spettacolo è molto importante il tema della libertà. Perché lo è?

Quando il Teatro Out Off mi ha proposto di portare in scena questo testo era l’estate del 2020. Appena l’ho letto è entrato in risonanza con tutto quello che stava accadendo intorno a noi. Eravamo appena usciti dal primo lockdown. Per la prima volta anch’io avevo sperimentato sulla mia pelle dei vincoli molto piccoli ma inaspettati. Contemporaneamente sono iniziate le proteste di movimenti di fama mondiale come il Black Lives Matter o quelli degli attivisti sull’identità di genere. Sono fatti che si identificano con una richiesta di libertà. Quindi mi sono detto che noi in teoria viviamo in una società democratica, in evoluzione nell’Occidente. Perché però non riusciamo a essere liberi?

Lo spettacolo è dunque un modo per affrontare questa domanda. Non che dia delle risposte, ma serve a porre quesiti e a mettere in evidenza alcune contraddizioni, come il fatto che noi viviamo costantemente rinchiusi in prigioni mentali costruite dai ruoli sociali, dalle etichette che gli altri ci affibbiamo e che noi introiettiamo: “il bravo ragazzo” o – tornando allo spettacolo – “la bimba”, che tutti vedono come l’ingenua che non potrà mai fare nulla perché è troppo piccola. La sorella maggiore è invece “la serva” per eccellenza. Tutti la vedono però come “la zozza”, cioè la bravissima ragazza che però non ha desideri né pulsioni erotiche né istinti. Però è quella che lava i pavimenti e fa tutto il lavoro sporco.

A me ha colpito molto la stessa padrona di casa, la Madame del testo di Genet, perché è anche lei una prigioniera. Sembra quasi una delle serve, perché nonostante sia ricca e potente, malgrado lo status borghese conferitole dal testo, è intrappolata nella propria condizione di brava moglie e di donna perbene, che deve mantenere uno status, rimanendo però sempre un passo indietro dal marito. Quando arrestano il suo coniuge, lei scopre una felicità incontrollata, inizia a immaginarsi una vita ai limiti del romanzesco in cui si trasforma in un’eroina. Nel momento in cui invece viene a sapere che le istituzioni hanno rilasciato il marito, ripiomba in una depressione molto forte.

Il testo mi ha acceso quindi una serie di riflessioni potenti su quelle che sono le nostre piccole prigioni invisibili, che non sono tanto costituite da imposizioni provenienti dal mondo esterno, quanto da etichette che abbiamo gettato dentro di noi.

E’ giusto definire questo testo una favola nera?

Sì. Genet dà direttamente la definizione di “favola” quando parla delle serve. In realtà parte da un episodio di cronaca per diventare quasi un mito sulla servitù, sulla libertà e sull’ansia di diventare padrone e libere. “Nera” perché c’è una costante tensione verso l’omicidio. E’ quasi un gioco ininterrotto negli istinti e nelle pulsioni dei personaggi. Però siamo di fronte anche a una grande commedia, perché alcune coincidenze e alcune battute sono effettivamente molto divertenti. I personaggi sono infatti imbranati nel loro tentativo di essere liberi e aguzzini. “Favola nera” è comunque una definizione corretta.

Che valore aggiunto ha dato la traduzione del giornalista e saggista Franco Quadri?

E’ una traduzione molto interessante. Non credo sia edita, ma che sia stata realizzata apposta per il Teatro Out Off quasi vent’anni fa. E’ molto più aderente alla scena e alla realtà rispetto a quella di Giorgio Caproni. Sono anche due traduzioni molto distanti negli anni: quella realizzata da Caproni e pubblicata da Einaudi è del 1971, quindi ha un linguaggio che forse a noi suona datato, per quanto all’epoca fosse più vicino al linguaggio dialettale e parlato. Quella di Franco Quadri del 2003 sacrifica forse alcuni giochi retorici e alcune liricità della lingua di Genet che è molto complicata. Ci siamo però accorti in prova che è estremamente semplice da sostenere.

Per quanto lo spettacolo duri circa un’ora e venti e sia caratterizzato da un testo molto complicato, Genet dice a se stesso di non poter rinunciare a cantare la realtà. Parla di cose concrete, ma le trasfigura sempre con delle metafore. Però, nonostante queste caratteristiche del testo, la traduzione di Quadri consente molto agli spettatori di rimanere ancorati a quello che accade in scena. E’ stata quindi proprio una bella scoperta, perché l’opera di Quadri è molto fedele al francese e molto utile per il lavoro con gli attori.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Ippolita Aprile per la collaborazione
  • Clicca QUI per iscriverti al canale Youtube di Teatro.Online e vedere tutti i nostri video e le nostre interviste