Diego Piemontese, “Ragazze di vetro”

La campana di vetro, scritto nel 1963, è l’unico romanzo di Sylvia Plath dalla forte impronta autobiografica. La protagonista del romanzo, Esther, dopo un’importante borsa di studio presso una rivista di moda a New York, passa un mese a lottare contro la depressione, cercando disperatamente di ritrovare la studentessa grintosa e di successo che era prima. La svanita capacità di scrivere, di dormire e di interagire con le persone, la porta a ingoiare un flacone di sonniferi.

Dal romanzo è nato lo spettacolo teatrale Ragazze di vetro, in scena al Pacta Salone di Milano dal 30 marzo al 2 aprile, con l’adattamento di Maddalena Mazzocut-Mis e Sofia Pelczer, che ha anche firmato la regia, e a cui lo spettacolo è dedicato. L’allestimento è di Arianna Guaglione e Diego Piemontese. In scena troviamo Francesca Tripaldi e Viola Lucio. La voce fuori campo è di Sara Zanobbio.

Intervista a Diego Piemontese

La prima cosa che mi sono chiesto è se il libro di Sylvia Plath non poteva essere un campanello d’allarme per salvarle la vita…

I campanelli d’allarme potevano essere molti e andavano ben oltre il libro. Il punto è che Sylvia Plath si è lasciata andare ed è rimasta relegata al ruolo di poetessa depressa. Suo marito ha rielaborato le sue ultime opere, in particolare Ariel e I diari, proprio per far emergere questo lato. Era un altro momento storico ed erano molte le cose che si pretendevano da una donna, in particolare da Sylvia. Non so se non prendessero sul serio la sua scrittura o se la sua condizione andasse avanti da così tanto da far pensare che questo libro si sia sommato a una serie di altre cose.

Da che cosa era causata la depressione della protagonista?

Sylvia Plath racconta questa grande dicotomia non solo ne La campana di vetro sotto lo pseudonimo della protagonista Ester ma anche in tutta la sue opera. Consiste nel modo in cui la voleva la società negli anni Cinquanta: madre, sposa felice e dedita alla casa. Dall’altra parte c’era la sua ambizione di artista e di autrice; questo è sicuramente uno dei principali dissidi nella vita della Plath ma non solo. E’ in realtà una condizione ed è questo il motivo per cui La campana di vetro è ancora oggi molto attuale e riguarda tante giovani donne che aspirano ad essere qualcosa di più rispetto a quello a cui la società le relegherebbe.

Forse rispetto a mezzo secolo fa la scienza e la medicina avevano meno mezzi a disposizione rispetto a oggi per curare questa malattia, giusto?

Sicuramente. Bisogna però dire che Sylvia Plath risulta molto contemporanea sotto quest’aspetto, nel senso che lei non ci parla di una donna che a un certo punto impazzisce o cade in depressione per qualche incomprensibile motivo. Sylvia Plath ricollega il suo disagio alla condizione materiale di base: lei voleva fare un certo tipo di lavoro ma per farlo, la società le diceva che avrebbe dovuto scegliere tra la sua carriera o essere una brava donna e una brava madre. La parte scatenante del suo dissidio nasceva da qui.

Non era una malattia individuale, ma una questione ricollegabile alla sfera sociale che la circondava. Questo è il motivo per cui la depressione viene definita anche oggi la malattia del XXI secolo. L’ex direttore dell’AIFA dice addirittura che nel 2030 sarà il disagio cronico più diffuso in Italia, perché non si tratta solo di una questione individuale ma collettiva. Nel nostro caso è molto legata alla condizione materiale di Sylvia Plath come donna.

Nello spettacolo si parla di seconda nascita, una volta guariti dalla depressione. E’ un messaggio di speranza?

Sicuramente sì. E’ quello che l’autrice e regista Sofia Pelczer voleva dare: un messaggio di speranza e lotta per tutte le donne.

  • Intervista di Andrea Simone
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  • Si ringrazia Giulia Colombo