Debutta in teatro il Pinocchio di Lorenzo Loris: lo spettacolo sarà in scena al Teatro Gerolamo di Milano dall’ 1 al 3 febbraio. L’opera è liberamente tratta dalla versione dialettale di Tranquillo Salvatori con l’adattamento drammaturgico di Lorenzo Loris, Sabina Negri e Mario Sala, protagonista anche sul palco con Marta Marangoni e Fabio Wolf.

Questo è un Pinocchio molto speciale. In questa versione, infatti, l’ex burattino è un uomo di 50 anni, pieno di vita e di allegria, che ripercorre con sapiente ironia la propria esistenza attraverso un susseguirsi di flashback vivaci, commoventi e brillanti. Marta Marangoni e Fabio Wolf sono i vari personaggi della fiaba, raccontati e rappresentati attraveso le maschere e i disegni di scena di Giovanni Franzi.

Quattro domande a Sabina Negri
“Che tipo di Pinocchio è il vostro?”
“E’ un Pinocchio molto particolare, nel senso che io sono partita dalla fiaba di Carlo Collodi, ma soprattutto dalla traduzione dialettale del maestro Salvatori. Mi sono trovata questo bellissimo libro tra le mani e mi sono chiesta perché Pinocchio non possa parlare in milanese e così l’ho fatto parlare in milanese. Di sicuro non è il Pinocchio bambino, è un Pinocchio cinquantenne che decide di raccontare la propria storia, di dire che è nato da Geppetto e di essere un burattino. L’elemento che andiamo a sottolineare è che è figlio di un genitore unico e che fa tutto il suo percorso incontrando tutti gli altri personaggi. Cito sempre il gatto e la volpe quando dicono di seminare i soldi e mi vengono in mente le macchinette o i tanti grilli parlanti che noi incontriamo durante la nostra vita. Quindi ho pensato che a un bambino potesse suggerire alcune cose e a un adulto altre. La nostra è una duplice lettura. Poi c’è la riscoperta della lingua: nessuno si ricorda mai che anche l’italiano è un dialetto.”
“Quant’è diversa la resa linguistica di un Pinocchio che si esprime in dialetto rispetto a quella di un Pinocchio che parla in italiano?”
“Il dialetto avvicina perché è confidenziale, le sue marachelle fanno più sorridere con i commenti e qualche parolaccia che a volte gli scappa. Dette in dialetto assumono un altro significato, quindi l’uso del vernacolo ha un grande vantaggio. Non è però un milanese stretissimo da Carlo Porta che nessuno comprende più, ma è un dialetto abbastanza tradotto e annacquato. Però io ho visto nell’anteprima che abbiamo fatto a Codogno in provincia di Lodi che anche i bambini lo seguivano perché magari lo avevano sentito parlare dai nonni. Oggi c’è una ripresa, quindi Pinocchio alla fine saprà due lingue perché lo costringeranno ad andare a scuola dove finalmente imparerà anche l’italiano, cioè il dialetto toscano.”
“E’ uno spettacolo che rappresenta l’incontro di due lingue e di due culture?”
“Di due lingue sì, perché Pinocchio ha la propria realtà in cui usa il dialetto. Dipende da come consideriamo le culture perché abbiamo una cultura diversa da provincia a provincia, ma tutta l’Italia ha una stessa cultura e una stessa formazione scolastica, a scuola studiamo le stesse cose. E’ una vicinanza molto forte perché il Paese è uno solo.”
“Pinocchio è un trait d’union tra il mondo degli adulti e quello dei bambini?”
“Assolutamente sì, sia a livello di fiaba che a livello dei messaggi che manda. E’ una favola sempre ripresa dagli adulti. Non la chiamerei neanche più fiaba, perché è uno spettacolo che si trasforma in continuazione. Anche le parole di Collodi sono attuali, perché in ogni periodo e in ogni epoca hanno un significato e un valore diverso. Quindi il messaggio può essere lo stesso, ma si è evoluto nel tempo e si è adeguato a noi. E’ questa la grandezza dei grandi scrittori.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringraziano Rita Cicero e Maurizia Leonelli per la gentile collaborazione