
Gipo Gurrado porta in scena in prima nazionale al Teatro Menotti di Milano dal 21 al 26 marzo Piombo. Siamo di fronte a uno spettacolo sugli anni più neri della Prima Repubblica, quelli del terrorismo. Si tratta di un musical d’autore, di cui Gurrado firma libretto, musiche, testi e regia, regalando al pubblico la propria presenza sul palco come musicista alle chitarre, ai live electronics e al piano. Insieme a lui cinque attori: Enrico Ballardini, Davide Gorla, Giulia D’Imperio, Andrea Lietti ed Elena Scalet, oltre a un altro musicista: Mauro Sansone alla batteria.
Il rapimento Moro
Quei 55 giorni che sconvolsero l’Italia nel 1978, quelli del sequestro di Aldo Moro: Gurrado presenta la sua lettura dei fatti e dei personaggi emblematici di quel periodo, riportando in vita un periodo storico che sembra lontano anni luce da oggi, ma che presenta inquietanti similitudini con il presente.

La parola a Gipo Gurrado
“L’obiettivo del tuo spettacolo è far conoscere quei giorni ai più giovani e conservare la memoria storica in chi ha vissuto quei fatti?”
“Gli obiettivi sono tanti: avevo voglia di raccontare questo periodo storico in modo nuovo e diverso. Sono stati fatti tanti spettacoli sul terrorismo. Noi abbiamo cercato di affrontare quel periodo in maniera inedita, perché tecnicamente abbiamo messo in piedi un musical. Nell’immaginario colletivo questa parola è associata a balletti e coregografie. Qui invece la drammaturgia è portata avanti dalle canzoni. Questo permette di arrivare a un livello emotivo diverso e più profondo. Avevamo voglia anche di incuriosire le persone. L’ideale sarebbe che, uscendo dal teatro, gli spettatori andassero a comprare un libro per saperne un po’ di più sul sequestro Moro. Credo che parlare in modo nuovo di questa cosa con un linguaggio musicale sia possibile. Almeno lo spero”.
“Quando si trattano argomenti così seri e tragici, c’è sempre il rischio che il pubblico, dopo un po’, abbassi una specie di ‘saracinesca emotiva’. C’è lo spazio per un po’ di ironia in questo spettacolo?”
“Sì, ce n’è, perché la mia visione non è quello di un politico né di un sociologo né di uno storico. Io resto un artista e un drammaturgo e e come tale ho affrontato la questione. Nello spettacolo c’è il personaggio di un giornalista che tiene le fila del discorso, raccontando i 55 giorni di prigionia di Aldo Moro. E’ una figura molto ironica e divertente: si collega con Montecitorio dove non gli risponde mai nessuno e con le manifestazioni operaie dove si non capisce mai nulla. Nel ritmo dello spettacolo ho inserito questo reporter che dà quel ritmo e quello sprint che l’argomento non potevano concedermi. C’è dell’ironia, quindi. Un’ironia amara perché il giornalista non dice cose positive, però strappa al pubblico una risata. Siamo stati molto attenti a non fare uno spettacolo pesante, anche se il titolo dello spettacolo potrebbe far pensare il contrario”.
“Anche la musica può avere il compito di alleggerire il contesto?”
“Sì. Non c’è quella degli Anni 70, perché non è nelle nostre corde scimmiotttare i generi musicali. Qui c’è un’atmosfera elettronica fatta di musiche dei Depeche Mode, dei Moderat e degll Archive. Infatti durante alcuni pezzi gli attori fanno un po’ fatica a stare fermi. Come indicazione registica, però, non devono mai e poi mai assecondare il ritmo. Deve quasi sembrare un caso che stiano cantando anziché recitando. La musica rappresenta un linguaggio in più e un valore aggiunto sul palco. C’è un’atmosfera molto groove”.
“Autore, compositore, musicista e regista. Ti vedremo prossimamente anche nelle vesti di attore?”
“Credo proprio di no. Salgo anch’io sul palco quando suono le mie canzoni, ma resto sempre nascosto dietro a una chitarra che mi protegge. Non sarei in grado di fare l’attore perché richiede una formazione. Non sarebbe nelle mie corde”.
“Questa è la tua seconda regia. Ti piace di più fare musica o dirigere gli attori?”
“Fare musica, perché io ho firmato le colonne sonore di una settantina di spettacoli. Però sono due anni che lavoro a questo progetto. Ho incontrato diversi ex brigatisti e fatto un percorso personale particolare. Non posso che essere io a dirigere gli attori, perché non mi piacerebbe affidare tutto a un regista, pur stimandolo molto. Voglio poter decidere tutto io. E ti confesso una cosa: ci sto prendendo gusto. Spero che non suoni come una minaccia!”