“PLATONOV”, L’OPERA INCOMPIUTA DI CECHOV

Durante i tumulti della Rivoluzione russa del 1917 Maria Cechov, sorella di Anton, nascose molti manoscritti e appunti del fratello in una cassetta di sicurezza a Mosca. Nel 1921 alcuni studenti sovietici riuscirono ad aprirla per caso e scoprirono un testo teatrale. Cechov aveva 21 anni quando lo scrisse. La pagina iniziale con il titolo era mancante. Il testo che ritrovarono era incompleto, aveva moltissimi personaggi, moltissimi argomenti, tematiche e moltissima azione.

Platonov – Un modo come un altro per dire che la felicità è altrove è in scena al Teatro Fontana di Milano fino al 18 novembre. Tratto da Anton Cechov e diretto da Marco Lorenzi, vede protagonisti Michele Sinisi, Stefano Braschi, Roberta Calia, Yuri D’Agostino, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Rebecca Rossetti e Angelo Maria Tronca.

Quattro domande a Marco Lorenzi

“Perché Cechov volle nascondere quest’opera?”

“Questo è un aneddoto molto divertente, perché lui ha scritto l’opera tra i 18 e i 21 anni. Era molto giovane e ha raccolto e spedito il risultato del suo primo manoscritto a una grande attrice dell’epoca di San Pietroburgo: una specie di star, una figura che lui ammirava moltissimo, sperando di poterne avere feedback positivi e che potesse essere da volano per la messa in scena nel teatro dove lei lavorava. Purtroppo il feedback che gli arrivò fu: “Ho letto il suo lavoro, le consiglio di cambiare mestiere.” Quindi la reazione di Cechov fu quella di darle ascolto, nel senso che per un po’ di tempo smise di scrivere per il teatro e si dedicò alla scrittura di racconti. Prese questo manoscritto di più di 200 pagine e lo nascose in un cassetto. Venne ritrovato solo dopo la sua morte.”

“In che senso si può parlare di fallimento dell’utopia?”

“Si può farlo per due motivi: il primo è che il “Platonov” è un po’ il fallimento dell’utopia di Cechov. Questo è molto bello perché in “Platonov” ci sono tutti gli elementi che ritroveremo nei cinque testi della maturità, compressi però nell’energia e in quella voglia di comunicare e di dire tutto di un artista geniale ma ancora giovane. Il secondo è che già in “Platonov” lui dichiara che il suo grande desiderio era quello di riuscire a raccontare la vita esattamente com’è. Chiaramente la vita è irrappresentabile. Si è scontrato con l’utopia di un racconto che nel “Platonov” è anche il fallimento del personaggio, cioè delle aspirazioni di vita, di realizzazione e di ricerca di felicità del protagonista di “Platonov”. Quindi è un doppio fallimento.”

“Perché questo testo generalmente non è considerato rappresentabile?”

“Perché è lunghissimo, sono più di 200 pagine; ha un numero di personaggi spropositato e le versioni accademiche che ci sono arrivate sono composte da tagli e parentesi. Sono frutto dei tentativi degli studiosi ma anche dei registi di ricostruire un testo non completo fino alla fine. Questo fa sì che sia un testo molto complesso da mettere in scena. Questo però non fa altro che stimolare ancora di più la sfida e il rischio di mettere in scena un Cechov così interessante.”

“Che cosa rende fragili i protagonisti di quest’opera?”

“Questa è una grande domanda. Già in “Platonov” come nei testi successivi c’è una capacità di lettura dell’essere umano tanto profonda come in nessun’altra drammaturgia. Cechov ci dà tanto come interprete, come artista ma anche come regista, se noi gli diamo tanto. Se accettiamo questo gioco, può cercare di raccontarci una vita che è alla ricerca di una felicità che è altrove, come dice il sottotitolo dello spettacolo. Tutto questo non fa che rendere i personaggi degli esseri umani “rotti” interiormente che continuano questa ricerca con una fame di vita e di felicità inesauribile destinata però a un fallimento. Perché? Perché è così.”

(intervista e riprese video di Andrea Simone)