Un miscuglio futile di richiami futuristi. Si potrebbe definire così Pout pourri, lo spettacolo in scena al Teatro Libero di Milano fino al 28 settembre. I futuristi concepivano infatti il teatro con l’idea di abbandonare la trama, il verso e la prosa perché ritenevano che distruggesse la sintassi in favore del verso libero. L’unico teatro che salvavano era quello di Varietà, della sorpresa ed improvvisazione. Autori e attori si divertono dunque a portare in scena questo spettacolo futurista oggi. La pièce è stata scritta da Francesco Angelo Ogliari con Serena Facchini ed Ermanno Nardi, anche registi e protagonisti sulla scena dove troverete pure Daniele Pennati.
Quattro domande ad Ermanno Nardi
“Cosa significa oggi parlare di Futurismo?”
“Attraverso il nostro nuovo spettacolo noi non abbiamo inteso fare un richiamo diretto al futurismo. Ci siamo semplicemente fatti una domanda: cosa vuol dire futurismo oggi? Siccome i futuristi nel loro movimento storico hanno provato a scardinare tanti meccanismi e tante cose che si erano fermate, noi abbiamo provato a fare la stessa cosa: guardiamo i nostri tempi con gli occhi dei futuristi. Parlare di futurismo oggi vuol dire essere iconoclasti e cercare nel pubblico una reazione. Abbiamo tentato di riportare tutti i dettami del futurismo come la velocità in uno spettacolo contemporaneo. Quindi non significa riprendere e fare un’opera nostalgica, ma fare uno spettacolo partendo da quella forza che i futuristi hanno portato nel loro tempo.”
“Com’è la struttura di uno spettacolo pensato come un varietà?”
“Segue le regole futuriste ed è fatto di sketch che cercano di raccontare il nostro tempo. Lo spettacolo non ha una struttura narrativa dove c’è un inizio, uno svolgimento e una fine, ma ci sono tanti momenti che formano una drammaturgia fatta di quadri. In questo senso diventa un varietà perché sono tanti momenti come nella rivista di un tempo. Si va così a creare una serie di scene – alcune molto divertenti, altre che lasceranno l’amaro in bocca al pubblico – in cui gli spettatori si metteranno in discussione e saranno coinvolti nello spettacolo.”
“E’ solo comico il linguaggio dello spettacolo?”
“Lo spettacolo usa un linguaggio comico, ma attraverso la risata cerca di far venire a galla qualcos’altro, qualcosa di tragico. Quindi la nostra comicità non è fine a se stessa, ma come un grimaldello cerca di scavare fino in fondo, fino nel più intimo del nostro spettatore per fargli capire che in quel momento sta ridendo e si diverte anche molto. Alla fine dello spettacolo, però, quando va a casa e ci ripensa il giorno dopo, capisce che lo spettacolo non era poi così divertente perché nascondeva un fondo di verità relativo al fatto che i nostri tempi sono molto patinati, online e social, ma dietro a questa fortissima socialità spesso c’è una grande solitudine.”
“Era solo sorprendere l’unico obiettivo del teatro futurista?”
“Non era solo sorprendere perché attraverso la sorpresa loro potevano proporre una riflessione: non lo facevano in una maniera intellettuale. Loro rifiutavano tutto il teatro borghese o il salotto che veniva dalla fine dell’Ottocento o dai primi del Novecento e attraverso questa forza e questo nuovo modo di parlare, c’era la voglia di sorprendere e di creare un attimo di sbigottimento, dietro al quale c’era però tanto da imparare e su cui riflettere, magari ripensando anche la propria vita.”