Qohelet è un testo da ascoltare o da leggere almeno una volta nella vita.
E ad ascoltarlo con attenzione ce lo si porta poi dietro per sempre. La voce di Elia Schilton, accompagnata da musica e danza, racconta il mondo, l’essere umano, la sua fragilità, la disperazione, la gioia, il rapporto con il presente e con l’infinito.
Lo spettacolo è in scena al Teatro Franco Parenti di Milano, da cui è stato prodotto, fino al 20 febbraio. Unico protagonista è Elia Schilton accompagnato al violoncello da Irina Solinas e diretto da Federica Santambrogio con la coreografia di Emanuela Tagliavia. La versione di Qohelet in scena è l’ultima, terminata da Guido Ceronetti nel 2001.
Parla Federica Santambrogio
“Come prima domanda le chiederei di spiegare cos’è Qohélet, perché di sicuro non tutti lo sanno.”
“Ovviamente “Qohélet” è un libro dell’Antico Testamento, ma la cosa che mi interessa di più raccontare è che per me è un’opera di filosofia pura. Al di là del fatto che fa parte della Bibbia, è un testo che indaga l’uomo. Attenzione, non dà risposte: fa domande sul tema “chi è l’uomo” in relazione alla vita sulla terra e al metafisico, quindi a Dio.”
“Qual è il messaggio che vuole dare quest’opera, secondo lei?”
“Il messaggio è esattamente quello di farsi costantemente domande su chi siamo, perché siamo e qual è il pensiero che ci porta in avanti.”
“Questo spettacolo unisce prosa, musica e danza, giusto?”
“Sì. Il focus è assolutamente sulla parola perché è un testo biblico. Il mio obiettivo principale è stato quello di farlo arrivare, perché non è un’opera semplice. Quando Elia Schilton ed io ci siamo messi a tavolino, già tre anni fa, abbiamo scandagliato ogni parola fino alla radice, perché non è un testo immediato. A me premeva che al pubblico arrivasse il significato profondo della parola e che in un’ora di lettura non fosse troppo complicato e complesso seguirlo. Fin dal primo momento mi sono chiesta che cosa potesse essere d’aiuto. Siamo sempre nell’ordine dell’aiuto: la parola è cioè il focus e la linea primaria in assoluto. Però ho pensato che le persone avessero bisogno di un mezzo per entrare nella consapevolezza della parola e del significato.
Inoltre io lavoro tanto con la musica, quindi a me viene istintivo pensare alla parola e alla musica perché sono due linguaggi molto forti: uno va alla pancia e l’altro al cervello, e insieme ottengono i risultati migliori.
La prima volta avevamo un musicista che suonava il clarinetto questa volta ho sentito il bisogno di uno strumento più simbolico e vivo. Irina Solinas, bravissima violoncellista e compositrice mi è sembrata la scelta giusta. Accostando Elia Schilton, parola, razionalità, saggezza, alla giovane Irina che porta giovinezza ed emotività mi sembrava di riuscire ad unire aspetti complementari dell’esistenza umana.. Ho voluto metterli vicini scenicamente su una pedana circolare che rappresenta il mondo che racconta la vita. Sono due parti complementari tra loro che spiegano la complessità dell’essere umano e della vita.
Con Emanuela abbiamo fatto un grandissimo lavoro di squadra che a mio parere emerge chiaramente in questo spettacolo. Ognuno ha lavorato per permettere alla parola di arrivare in tutta la sua forza. Elia è colui che legge e che dà parola, rappresenta l’essere umano e la saggezza, ma non è un personaggio, così come non lo sono né Irina né i tre danzatori.”
“Che valore aggiunto dà a uno spettacolo come questo una penna come quella di Guido Ceronetti?”
“La meraviglia! La penna di Guido Ceronetti ha dato l’infinito! La sua ultima versione è la più aperta, la più ambigua e indefinita. Lavorare sulla sua traduzione ci dava quotidianamente sorprese, ci rendevamo conto di quanto ogni parola portasse significati immediati e allo stesso tempo profondissimi. E’ una traduzione meravigliosa, alta, potente e assoluta.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Francesco Malcangio per la gentile collaborazione