Serena Sinigaglia porta in scena al Teatro della Cooperativa fino al 19 maggio Citta di M. di Piero Colaprico, realizzato appositamente dal giornalista e scrittore per Arianna Scommegna, che ne è l’unica protagonista. Una produzione Atir Ringhiera, un monologo per sette personaggi che affronta le angosce di tutti noi.
Quattro domande ad Arianna Scommegna
“Chi sono i sette personaggi di questo monologo?”
“La vicenda è un giallo noir – ambientato in un quartiere non meglio definito della periferia milanese – che vede protagonisti un poliziotto della scientifica, una poliziotta, un’ispettore di polizia, l’uomo dell’obitorio, una giornalista televisiva, un capo cantiere e un vecchio taxista in pensione che fa da testimone. Tutte categorie totalmente diverse fra loro.”
“Perché le paure dei protagonisti sono le stesse di tutti noi?”
“Lo spettacolo è stato scritto 13 anni fa in un momento un po’ difficile. Oggi rispetto alla diversità e al rapporto con l’altro, mi sembra che Milano si sia molto aperta rispetto alla società e che rappresenti un’eccellenza. Però è anche vero che il tema della paura ci riguarda tutti quanti, perché credo che rappresenti il punto nodale. Il timore tiene in piedi non solo alcune strategie politiche ma anche alcune economie: quando la gente è spaventata, si comporta paradossalmente in una maniera più ordinata, quindi in quest’ordine segue dei sistemi.
Affrontare la propria paura e l’accoglienza di qualcuno diverso da noi sono i temi principale della società quotidiana. Questo tipo di apertura prevede una complessità che spaventa, perché è chiaro che un ordine costituito dall’alto permette di stabilire confini dove non ci sono, ma è quasi impossibile riuscire a metterli. Non si può impedire alla natura di mischiarsi, né bloccare la migrazione in una maniera così violenta. La diversità è anche dentro ognuno di noi e nelle nostre case.”
“La città di m… è Milano ma potrebbe essere un qualunque agglomerato urbano?”
“Sì, se per agglomerato urbano si intende una grande città dove vive la multiculturalità in zone di periferia dove c’è l’abbandono. Non so se nei paesi sia la stessa cosa perché ci si conosce tutti. Forse nelle città si abita in un palazzo senza sapere nemmeno chi abita al piano di sopra né a quello di sotto. Alcune città sono più umane, ma forse questo è un esempio che può riguardare un modus vivendi: vivere l’indifferenza verso chi ci sta accanto non è una cosa molto lontana da noi, anche perché la gente non vive una vita frenetica soltanto nei grandi centri urbani. In una città come Milano è però particolarmente forte.”
“Piero Colaprico ti ha presentato un testo già scritto oppure ti ha coinvolto anche durante la stesura?”
“No, siamo stati noi a chiamare Piero perché io avevo letto i suoi romanzi. Gli abbiamo chiesto di scrivere un testo apposta per me. Lui ha fatto la prima stesura e da lì è nato il lavoro di drammaturgia insieme. Di solito si ha a che fare con opere già scritte da autori del passato. Avere un autore vivente con cui continuare a collaborare quotidianamente e che ogni giorno ha la libertà e la passione di cambiare, di riscrivere e riadattare insieme, è stato un lavoro straordinario fatto principalmente dalla regista Serena Sinigaglia e da Piero.
Dopo le innumerevoli stesure, hanno rivisto con me la scrittura, che quando viene messa in scena è estremamente diversa. E’ il primo testo teatrale di Piero e quindi ha rappresentato per tutti e tre un battesimo. E’ stato un lavoro che ha portato alla nostra felicità e a un ottimo risultato, perché dopo tredici anni, tutta questa forza non può che renderci orgogliosi!”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringraziano Maurizia Leonelli e Bianca Villa per il supporto professionale