Mangiamo e parliamo con lo stesso organo. Per questo l’atto di mangiare rappresenta uno degli aspetti più evidentemente culturali nell’uomo. Maria Pilar Pérez Aspa ha raccolto pagine memorabili di Cervantes, Proust, Vicent, Montanari, Scarpellini, Montalbàn, Fernando de Rojas, pagine che parlano di cibo, fame, nutrimento e spiritualità.
Racconti di Zafferano, scritto, diretto e interpretato da Maria Pilàr Perez Aspa è in scena al foyer del Teatro Manzoni di Milano fino al 1° marzo.
Parla Maria Pilar Pérez Aspa
“E’ già la seconda o terza volta che riproponi questo spettacolo. Sei contenta del successo che ha avuto e sta avendo?”
“Sì, sono molto contenta, perché in questi due anni e mezzo-tre che lo faccio e l’ho già fatto più di una settantina di volte, crea ogni volta un bell’incontro con il pubblico. Quello che succede è un po’ inaspettato, perché il pubblico non sa molto quello che si aspetta. Sa che si mangia, sa che si recita e si crea una situazione di incontro tra chi cucina e mangia e chi recita e ascolta. Quindi sono molto contenta, perché questo esperimento è nato un po’ per caso. Invece è uno spettacolo che sta vivendo un po’ di vita propria, perché lo faccio in un posto e puntualmente c’è qualcuno a cui piace e che mi chiede un’altra data, perché è una cosa un po’ particolare, anche se ci sono tanti programmi di cucina.
Parliamo tanto di cucina, però questo è un po’ particolare, perché il fatto che si cucini in diretta per 90 persone non è una cosa che succede tutti i giorni. Quindi crea un piccolo momento di comunità perché si mangia tutti insieme. E’ una cosa che magari con il teatro e basta non accade, perché ognuno è seduto nella propria poltrona. Qui invece si creano spesso dei gruppi e le persone parlano tra di loro. E’ una cosa un po’ diversa, dove si sta bene, quindi sono contenta.”
“Perché l’atto di mangiare può essere considerato un atto culturale?”
“Penso che la parola “cultura”, che viene dal latino “colere” e che vuol dire coltivare, sia l’opposto della natura. Perché quando noi coltiviamo, quello che facciamo è procurarci artificialmente il cibo. Non è cibo che ci dà la natura. Noi però mettiamo a disposizione le nostre conoscenze per procurarci del cibo, che è la stessa cosa che capita con l’atto culturale. Applichiamo una serie di cognizioni che abbiamo acquisito attraverso l’esperienza nello studio. E‘ la stessa cosa che facciamo quando cuciniamo, quando forziamo, quando prendiamo gli elementi che ci arrivano dalla natura e li trasformiamo nel modo in cui scegliamo noi. Quindi mi sembra che i due atti – quello di cucinare e quello culturale in sé – abbiano una stessa base di partenza nonché etimologica.”
“Cosa intendiamo con l’espressione letteratura ai fornelli?”
“Quello è stato un po’ un gioco di parole che mi sono permessa, anche perché durante lo spettacolo i libri sono molto vicini ai fornelli. Quindi così come metto gli ingredienti in pentola che sto cucinando – perché la paella viene cucinata tutta dal primo ingrediente all’ultimo in scena – i testi, le citazioni e gli aneddoti vengono anche loro versati sul palco, così come si versano il sale, il riso e quant’altro.
Mi sembrava un po’ che fosse come mettere le parole in pentola. Per questo mi sono inventata un po’ questo gioco di parole perché mi sembrava che fosse tutto insieme, sia gli ingredienti che le parole, perché è una narrazione della storia dell’alimentazione dalla preistoria fino ai giorni nostri. Però, siccome è un tema molto ampio, ho preso dei piccoli spunti e mi sembrava un po’ che fosse come prendere gli ingredienti per fare un piatto. Quindi ecco perché letteratura ai fornelli.”
“Quali sono le riflessioni che vengono fatte sull’atto di mangiare?”
“Le riflessioni che vengono fatte durante lo spettacolo sono tante. La riflessione principale è che pur essendo un atto quotidiano, è un atto straordinario perché è una scelta quotidiana che facciamo. In questo momento più che mai l’atto di mangiare è un atto anche politico, sociale e di responsabilità verso noi stessi, perché ogni volta che scegliamo di mangiare stiamo scegliendo di continuare in vita. Quando ci si prende la responsabilità di restare in vita, ci si assume anche la responsabilità di come affrontarla. La prima cosa che si fa per restare in vita è quella di mangiare. Mi sembra giusto riflettere su questo atto che sembra così ordinario e invece è così straordinario, e mi sembra giusto concederci insieme al pubblico questo momento di riflessione, in modo che quando uno mangia un pezzo di pane sa cosa ci è voluto nella storia dell’uomo per arrivare a mangiarlo.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringraziano Manola Sansalone e Maurizia Leonelli per la collaborazione