Una nuova grande produzione di Manifatture Teatrali Milanesi debutta in prima nazionale al Teatro Litta di Milano dove sarà in scena fino al 12 marzo con la riscrittura e la regia di Filippo Renda. Si tratta di Medea una strega, che vede protagonisti Salvatore Aronica, Gaia Carmagnani, Sarah Short e Alice Spisa, oltre al regista stesso, presente anche lui sul palco come attore.
La parabola di Medea, outsider ribelle e anticonvenzionale, trova come unica cura alla propria angoscia prima la mortificazione e poi la deportazione della donna definita da tutto e tutti una strega.
Quattro domande a Filippo Renda
Fino a oggi non conoscevo – e forse non la conosceva nemmeno il pubblico – Medea sotto forma di strega. In che cosa lo è nel tuo spettacolo?
Lo è in quanto riconosciuta come tale dalla società diversa da quella in cui è nata e cresciuta e in cui si ritrova a vivere. Nella sua società lei era una sacerdotessa o come si diceva nel Cinquecento una donna sapiente. Nel momento in cui le sue conoscenze vengono viste da una società occidentale diversa, questa società le vede con uno sguardo pregiudizievole e quindi la accusa di essere una strega. In fondo la figura di Medea è molto ambigua nel mito e in tutte le sue trasposizioni: passa da essere una semidea a una sacerdotessa. Nella nostra versione è una sacerdotessa della triplice dea, della dea bianca, che ovviamente nel culto olimpico di Corinto e della Grecia del pensiero occidentale viene stigmatizzata.
Quale fu il sistema di vessazioni che la società mise in atto ai danni di Medea?
Qui bisogna parlare anche della Medea di Euripide. E’ molto importante infatti fare una precisazione storica fondamentale: quando Euripide scrive, passa una legge secondo la quale i soldati che andavano nelle colonie greche potevano rientrare in patria con una nuova moglie, declassando la propria moglie greca a nuova concubina, la quale non aveva alcun diritto di appello. Poteva quindi solo accettare il proprio destino. E’ la stessa cosa che accade a Medea. Dunque diciamo che c’è una forte componente di critica politica e sociale fatta da Euripide al suo tempo. Non a caso arriva ultimo nell’agone tragico.
Questo è prima di tutto quello che Medea deve sopportare: l’idea di dover accettare un sistema patrilineare in cui i figli sono proprietà del padre. La donna è proprietà del marito e quindi una donna si ritrova ad essere un debito per la propria famiglia quando nasce, perché bisogna permettersi una dote per darla in sposa. Poi diventa un campo da arare, una proprietà per il proprio marito quando la prende in sposa.
Perché questo spettacolo è un viaggio attraverso il mistero?
Perché se non ci fosse il mistero, non troveremmo una spinta efficace per fare questo lavoro, per fare il teatro ed essere artisti. Il mistero è tutto ciò che non solo non conosciamo ma non sappiamo dove si trovi. L’unica cosa che possiamo fare è scegliere una direzione, orientarci verso di essa e sperare che ci porti qualcosa di illuminante. La caratteristica del mistero è che, orientandosi, si ha molta paura di perdersi e di trovare risposte. Trovarle attraverso il mistero significa infatti trovarne alcune che possono essere sconcertanti. E’ il percorso che noi cerchiamo di fare in maniera modesta e umile in quanto artisti e di proporlo anche agli spettatori e alle spettatrici.
Perché, anche tra venti milioni di anni, quello di Medea rimarrà sempre uno dei più grandi miti immortali della Storia?
Perchè Medea è un personaggio realmente femminile. Anche tra venti milioni di anni la femminilità sarà un tabù. Gli unici personaggi femminili accettati nella nostra società sono quelli che si travestono da maschio e che accettano i dettami e il sistema maschile-virile fondato sulla virilità e sul successo.
- Intervista di Andrea Simone
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- Foto in evidenza di Sara Meliti
- Si ringrazia Alessandra Paoli