“IL MERCANTE DI VENEZIA”, PECCATO CAPITALE E GIUSTIZIA DIVINA

 

Avidità e strozzinaggio: sono questi i due tempi principali del Mercante di Venezia. L’opera di William Shakespeare è al Teatro Fontana di Milano fino al 26 novembre, con l’adattamento e la regia di Filippo Renda. In questa rilettura, Venezia diventa una città avviluppata nel dedalo delle calli, schiava di un elemento naturale, l’acqua, che la invade mettendo a repentaglio la salute fisica e psichica della gente. Ma la città lagunare è anche protagonista di un terremoto morale generato dalla presunzione umana di credersi onnipotenti e infallibili.

Sul palco troviamo Francesca Agostini, Sebastiano Bottari, Matteo Gatta, Mattia Sartoni, Beppe Salmetti, Irene Serini e Simone Tangolo.

 

Parla il regista Filippo Renda

“In che epoca è ambientato il tuo spettacolo?”

Devo fare una premessa: la parola di riferimento è steampunk, un movimento culturale il cui motto è “Come sarebbe stato bello il passato se ci fosse già stato il futuro”. E’ ambientato nel periodo pre-vittoriano, ma non mancano gli elementi contemporanei.

“Cosa succede quando si scontrano ordine e vendetta come in questo caso?”

Succede che bisogna scegliere se ciò che più conta sono i valori personali e soggettivi o quelli morali.  Quindi, paradossalmente, se una vendetta è motivata da un sistema etico interno e soggettivo, non è un male. Poi però bisogna pagarne le conseguenze. In questo sistema che abbiamo creato si scontrano da una parte i valori morali e dall’altra quelli distorti dall’interesse economico. Lo scontro è tra una società in cui non esistono né la moneta né la transazione economica e una in cui tutto è sistematizzato dallo scambio di denaro, anche i rapporti personali e i sentimenti.

“Quali sono le ossessioni private e personali di cui soffrono i protagonisti e di cui parli nelle note di regia?

A Venezia l’ossessione è l’obiettivo di ricavare qualcosa da qualsiasi situazione. E’ un meccanismo economico, ma se viene applicato alla vita quotidiana è altamente distruttivo e decadente. Il problema è che la legge economica dice che non si può ricavare qualcosa dal niente. Nel mondo ideale di Belmonte l’ossessione è l’equilibrio. Una volta trovato, arriva la smania di proteggersi da qualunque virus interno, ma questa è un’utopia, perché c’è la tendenza a distruggere quello che si è costruito. Questo aspetto vincerà sempre contro l’autoprotezione.

“Perché dici che gli under 30 come te rischiano di rimanere schiacciati da Shakespeare quando mettono in scena le sue opere?”

E’ un rischio che corriamo tutti, perché Shakespeare è un autore prepotente. Surclassa sia la recitazione sia la regia, perché è talmente strutturato e ha una base popolare su cui si dipanano le influenze filosofici, teologici e psicoanaltici ante litteram così forte che si rischia di rimanerne schiacciati, senza trovare un motivo per farlo vivere ancora. Io dico spesso che un regista deve togliersi in fretta certe opere di Shakespeare, perché o lo si sfida come si fa quando si è giovani o il rispetto rischia di farlo diventare un’operazione museale”.