Torna a Milano allo Spazio Banterle dal 16 al 18 marzo Il ritratto della salute, lo spettacolo che Chiara Stoppa ha scritto insieme all’amico e collega Mattia Fabris sulla propria malattia e su come l’ha sconfitta. Chiara racconta qui tutte le tappe del tumore: dal 2005, quando a soli 27 anni scoprì di esserne affetta, fino a quando ha debellato il cancro. Nel 2010 l’attrice ha scoperto che “quella storia aveva qualcosa di universale e poteva interessare tantissime persone”. Da lì è nata la decisione di raccontare la propria vicenda su un palcoscenico, non solo perché Chiara è un attrice, ma anche perché il teatro è il luogo che più di tutti permette di incontrare altre persone.
La parola a Chiara Stoppa
“Qual è stata la tua prima reazione quando ti hanno diagnosticato la malattia?”
(risata) Ho pensato che non avrei più potuto lavorare. Ero uscita da poco dalla scuola del Piccolo Teatro e in quel momento stavo lavorando da due anni con l’Eliseo di Roma e con Peppino Patroni Griffi. Avevo incontrato Franca Valeri e molte altre attrici, e il mio pensiero è stato subito quello: come farò a lavorare? Poi ho sempre pensato di aver scelto un lavoro che è la mia vita, quindi il sottotesto del mio modo di pensare era la domanda “come farò adesso a vivere”? Probabilmente il fatto di concentrarmi su una cosa così concreta come il teatro mi ha fatto anche bene.
“Perché il fatto di essere viva davanti a un pubblico ha un certo valore?”
Nel caso del “Ritratto della salute” per me ha un valore immenso. La prima volta che ho messo in scena questo spettacolo era maggio del 2010 ed è stata una replica decisamente emozionante cui hanno partecipato i parenti, gli amici e mia madre. Alla fine della serata, durante un’intervista radiofonica, una mia amica mi ha chiesto di raccontarle la mia storia e poi mi ha domandato quando sono guarita: ho capito che era successo quando ero tornata in scena. Per me recitare in questo spettacolo significa vivere.
“Un tumore è una delle cose più brutte che possano capitare, eppure questa storia ha anche dei momenti lieti. Quali sono?”
Dal mio punto di vista possono esserci cose più brutte. Paradossalmente se io non avessi avuto un tumore, non avrei mai capito di essere una brava attrice. Quindi credo che la malattia possa rappresentare anche un momento di solitudine con se stessi, perché siamo bombardati da mille cose, lavoriamo tutto il giorno e siamo totalmente invasi dall’esterno. Non abbiamo mai un momento per stare da soli con noi stessi e chiederci chi siamo, dove andiamo e cosa vogliamo. La malattia ti dà la possibilità di fare questo. E’ vero, non è certo una cosa bella, però può essere stimolante e interessante.
Ci sono molti momenti felici in questa storia. Non li racconto tutti, ma penso a tutti i deliri che combinava mia madre in ospedale: da quando mi ha sbattuta contro una porta antipanico alle litigate con i medici. Al di là dei momenti personali che non racconto nello spettacolo, mi vengono in mente le notti passate da sola in ospedale con la luna che entrava in stanza mentre io ascoltavo quel silenzio o i rumori nel corridoio. Per me rimangono ricordi molto belli. Poi c’erano gli amici, le cene che organizzavano per me, la compagnia, lo stare bene, l’avere sempre qualcuno attorno: erano tutte cose splendide.
“Perché non ti piace chiamare ‘lotta’ la tua esperienza?”
Perche credo che la lotta preveda la guerra e quindi se c’è la guerra, non può arrivare la pace. Io penso di aver fatto un grande cambiamento quando una persona mi ha chiesto “Che problema c’è a essere malati?”. Improvvisamente mi è cambiata la prospettiva: non ero più in lotta con me stessa o contro la malattia. Dovevo semplicemente capire che essere malati è una condizione che capita a tutti. Quindi era semplicemente necessario comprendere perché mi ero ammalata e che cosa mi stava succedendo. Se sei in battaglia, non puoi capire né restare in ascolto. Mi piace di più dire “ascolta la malattia” che “lotta contro di lei”. Mi sembra più interessante. Almeno a me è capitato così. Ho cercato di capire me stessa e di ascoltare quello che mi stava dicendo il male che mi aveva colpita.