Nel 1970, quando il Cagliari divenne campione d’Italia, Alessandro Lay aveva otto anni. Non ricorda molto dello scudetto, ma ricorda come era la città, come si vestivano, come si appendevano ai tram per non pagare, l’album della Panini e le partite a figurine sui gradini della scuola elementare. Ricorda il medagliere con i profili dei giocatori del Cagliari sulle monete di finto, fintissimo oro da collezionare.
Riva Luigi ’69 ’70 è in scena al Teatro della Cooperativa di Milano dall’8 al 10 novembre. Lo spettacolo è stato scritto ed è diretto da Alessandro Lay, che è anche l’unico protagonista.
Intervista ad Alessandro Lay
“Siamo di fronte a un omaggio a Gigi Riva?”
“Assolutamente sì. Tutto è partito con l’idea di fare una lettura su di lui su commissione. Poi, raccogliendo il materiale e guardando video interviste, ho scoperto un ragazzo che parlava la mia stessa lingua e tante mie stesse cose. Da lì è un po’ partito lo sturbo, perché mi è venuta voglia di parlare di lui, benché io di calcio non mi sia mai interessato in vita mia.”
“Come si può interpretare il gioco del footoball come sistema di segni?”
“Questo bisognerebbe chiederlo a Pasolini, che era un esperto nel sistema dei segni e di football. Io non sono un grande esperto né per quanto riguarda il sistema dei segni né soprattutto ho le competenze per parlare di football.”
“Il linguaggio del calcio di Gigi Riva è più vicino alla prosa o alla poesia?”
“Da ateo, se la religione di Stato in Italia è il pallone, potrei stare delle ore a guardarlo giocare in campo, perché non si sa mai quello che fa, non si sa mai quello che sta succedendo, se sta andando dall’altra parte o se la palla sta andando dove sta andando lui. Si tuffa in mezzo alla mischia, dà una testata e la Germania rimane a bocca aperta, perché lì non c’era niente. C’era solo uno che si stava tuffando sull’erba. E all’improvviso era un goal.”
“Perché ti ha colpito così tanto la figura di Gigi Riva?”
“Perché è uno che fin da piccolo ha preso tanti calci in faccia ed è riuscito a non diventare una pietra.”
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Giulia Tatulli per il supporto professionale