I confini del potere si disegnano in strategie, tattiche, linee orizzontali e verticali: una partita a scacchi, immaginata dagli uomini e giocata da una donna. Così tutto cambia, i colori assumono contorni imprevisti, il rapporto con il potere vive di continui conflitti, le tensioni sono stridenti, le soluzioni impreviste.
Elisabetta I. Le donne e il potere è in scena al salone di Pacta dei Teatri il 10 e l’11 dicembre. Scritto da David Norisco e diretto da Filippo D’Alessio, lo spettacolo vede come unica protagonista Maddalena Rizzi.
La parola a Maddalena Rizzi
In che modo una donna può giocare una partita a scacchi immaginata dagli uomini?
Il regista ha immaginato che questa donna fosse in qualche modo una pedina all’interno della situazione politica e storica del momento, e che quindi giocasse un ruolo sia di attacco che di difesa in queste dinamiche di potere. Per cui, oltre a esserci effettivamente una scacchiera in scena con i personaggi con cui lei si confronta, parla, vive di ricordi e di presenze, mette chiaramente in piedi delle dinamiche di difesa e di attacco con i suoi pezzi, soprattutto nei confronti della sua grande nemica, cioè Maria Stuarda.
Perché il tema del potere sembra essere solo un dominio maschile?
Credo che lo sia storicamente. Il tema è che le donne di potere oggi si sono mascolinizzate. Hanno preso degli atteggiamenti stereotipati dai maschi, che però identificavano il ruolo di potere dell’uomo. Questa donna quindi sceglie in qualche modo di essere un re. Lei dice: “Il mio cuore e il mio fegato sono quelli di un re.” E’ come se il potere e la decisione finale di uccidere la regina e la sorella la trasformassero e la facessero diventare un maschio. Non accade nulla a lei fisicamente, però l’empatia e la sensibilità che appartengono all’universo femminile vengono abbandonati per prendere questa decisione. Quindi lei si assume questo potere e lo dice anche.
Le donne hanno un approccio diverso con il potere rispetto agli uomini?
Secondo me per natura sì. Non so se sia una questione di socializzazione, ma credo che indubbiamente oggi, nel nostro approccio al potere, noi abbiamo acquistato molte caratteristiche negative che appartengono al mondo maschile. Dobbiamo dimostrare di avere “le palle”. Perché dobbiamo dimostrare di avere gli attributi per essere donne di potere? Il potere è anche altro. Quindi è un tema complicato. Quello che ci interessava trasmettere era il modo in cui questa donna aveva rinunciato a una parte di femminilità: figli, mariti e amanti. Intorno a lei ci sono il mito, la storia e i racconti, però ha dovuto adeguarsi in qualche modo a quello che era il peggio degli uomini di potere dell’epoca. Ha dovuto usare gli altri. In un passaggio lei dice che era assetata d’affetto, i cortigiani hanno approfittato di questo e lei ha imparato a soddisfarli dandogli anche lei illusioni d’amore.
Hanno detto che la storia di Elisabetta I sembra fatta apposta per essere rappresentata in teatro. Sei d’accordo?
Sì, certo, è molto avventurosa e misteriosa, quindi lo è. Nella sua trasformazione a livello iconografico lei è una donna semplice, poi diventa un essere femminile con una maschera bianca, perché credo che abbia voluto incarnare questo simbolo di potere fino in fondo. Quindi diventa una cosa che si distacca dalla passione e dal cuore per trasformarsi in qualcosa di totalmente ascetico e simbolico. E’ completamente bianca, con un trucco ricostruito.
Dicevano che lei avesse segni in viso dovuti a una malattia per cui si truccava pesantemente, però la sua storia la rende un soggetto interessante da questo punto di vista, perché ha vissuto molto, ha ottenuto numerose vittorie ed era molto amata dal popolo. Quindi anche i suoi discorsi sul potere e sul popolo che vive di illusioni e che può essere preso in giro creano una contraddizione importante in teatro, perché vive del dramma e del conflitto. Quindi diciamo che è un personaggio conflittuale che ben si presta a essere rappresentato in scena.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Giulia Colombo per la collaborazione
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