Uno spettacolo-concerto fatto di musica e parole sulla figura di Enzo Jannacci è di scena fino al 25 marzo al Teatro Gerolamo di Milano. In “Roba minima, s’intend” saranno di scena musica, parole e i brani che il cantautore milanese ha composto nella Milano degli anni Sessanta. Jannacci è sempre stato dalla parte degli ultimi e dei balordi. Ecco allora che sul palco prendono vita le figure più diverse, dal “palo” dell’Ortica che andava a Rogoredo per cercare i sò danée” alle balere di periferia dove c’era chi avrebbe dato tutta la propria vita per un “basin”. I versi di Jannacci vengono qui riproposti presentando le speranze di chi non si arrende, mescolando risate e sorrisi con l’amarezza dei ricordi e di un mondo che non può migliorare ma dove siamo costretti a vivere per forza di cose.
Sul palco Stefano Orlandi, anche autore dello spettacolo, Massimo Betti alla chitarra, Stefano Fascioli al contrabbasso e Giulia Bertasi alla fisarmonica.
La parola a Stefano Orlandi
“Quali canzoni del repertorio di Jannacci verranno proposte?”
Quelle più classiche: alcune sono nel programma dello spettacolo, altre compaiono come bis. Ovviamente non si possono non fare “Vengo anch’io, no tu no” e “Ho visto un re”. Si va dal primo Jannacci con brani come “Ohé sun chi” , “Andava a Rogoredo” e “L’Armando” , per arrivare a canzoni dell’ultimo periodo come “L’uomo a metà“. All’interno ci sono canzoni conosciutissime e altre chicche non altrettanto note per chi non ha seguito Jannacci fino alla sua ultima produzione. Cito soltanto “Si vede” e “La costruzione”.
“Qual’era la grande capacità di Jannacci?”
Quella di arrivare al cuore unendo leggerezza e profondità. Sapeva unire gli ambienti bassi come quelli degli umili e i diseredati a quelli più alti grazie al suo lavoro di cardiologo. Allo stesso tempo era in grado di raggiungere con i suoi testi le intelligenze dei cervelli.
“Perché Jannacci amava così tanto stare dalla parte degli ultimi?”
Credo che la sua fosse una prospettiva. Lui ha sempre guardato il mondo dal di fuori con uno sguardo curioso, attento e rispettoso. La prima canzone in scaletta, “Ohé sun chi”, scritta con Dario Fo, racconta di un bambino che arriva a Milano e guarda il mondo appeso al predellino del tram da cui vedeva case di sei piani con lo sguardo tipico dei bimbi. Jannacci aveva sicuramente un occhio da bambino curioso e aperto.
“Sono piccole storie di personaggi che amano fantasticare ma che hanno i piedi ben piantati in una realtà difficile?”
Credo che sia una giusta definizione. La citazione finale è tratta da “Miracolo a Milano”, dove gli ultimi e i diseredati rubano la scopa agli spazzini, ci salgono sopra e iniziano a volare sul Duomo. Sono pezzenti, ma pieni di gioia e di vita volano verso Milano. Per me questa è un’immagine che racconta moltissime cose di Jannacci, che ha sempre cantato le storie dei disperati dandogli una speranza. Erano gli ultimi, ma sapevano guardare il mondo con coraggio .