“ROCK AND RESILIENZA”: L’ALTRA FACCIA DEI DIVI DEL ROCK

“La vita è l’arte dell’incontro” amava ricordare Vinicius De Moraes e se, a ben guardare, nulla succede per caso, tutti gli incontri nella nostra vita hanno un senso e uno scopo. Paola Maugeri, punto di riferimento del giornalismo televisivo musicale e volto storico di Mtv, che nella sua lunga carriera ha incontrato e intervistato molti dei maggiori protagonisti del rock, ci racconta come questi personaggi, ammirati e idolatrati in tutto il mondo, non siano semidei moderni, ma persone normali che cercano nella musica la forza per ottenere risultati straordinari, spesso sfidando i propri limiti.

Rock and Resilienza è in scena al Teatro Menotti di Milano fino al 21 ottobre con la regia di Emilio Russo. Sul palco Paola Maugeri, Giuseppe De Luca e Manuel Buda alla chitarra.

Intervista a Paola Maugeri

“Perché i protagonisti del rock non sono semidei moderni ma persone normali?”

“Perché sono persone che per diventare quello che gli altri pensano che loro siano, cioè dei semidei, hanno dovuto rivoltarsi l’anima e mettersi completamente in discussione, cambiare profondamente se stessi, fare un lavoro di introspezione e il più delle volte, soprattutto per quanto riguarda gli artisti di cui parlo io, si nota nelle loro canzoni. Quindi è un peccato che la gente pensi che Bruce Springsteen sia perfetto e che non abbia i suoi momenti di defaillance. Proprio ieri sera vedevo una sua foto in un teatro di New York dove da un anno suona tutte le sere dal lunedì al venerdì. In camerino aveva le foto di Elvis Presley, della sua famiglia e dei suoi genitori. Mi ha molto colpito perché Springsteen ha bisogno di ricreare nel suo camerino a 500 metri da casa sua senza nemmeno essere in tournée un’atmosfera per ringraziare quelle persone che gli hanno fatto da mentori, perché se no non metterebbe Elvis Presley, John Lennon o le foto dei grandi del blues nel suo camerino. E così altre mille storie che potrei raccontarti. Quindi dipende che cosa vogliamo fare noi, se vogliamo far sì che queste persone assumano un ruolo di semidei e quindi siano irraggiungibili. Mi sono resa conto che tutte le persone che ho intervistato sono anche estremamente vulnerabili. Dipende da che tipo di domande gli si fanno e da che genere di relazione si vuole creare.”

“Che cosa cercano nella musica?”

“Riscatto, resilienza, rivincita, una forma di comunicazione che magari non riescono ad avere nella loro vita. Per me “The Dark Side of The Moon” è un trattato di psicanalisi in musica. La gente pensa che siano soltanto canzoni. In realtà, se si entra dentro quei brani, si capisce che parlano di difficoltà di gestione dell’alterità, del successo, delle relazioni con gli altri. Io lo trovo estremamente interessante. Cercano nella musica una forma di espressione che possa far sì che loro possano essere estremamente se stessi.”

“Cosa si intende per resilienza?”

“E’ un termine che nasce nel mondo metallurgico. Poi negli anni ‘ 60 è stato commutato in ambiti sociali. Significa più che resistere sapersi adattare, ma soprattutto fare di una battuta d’arresto un trampolino di lancio e di un fallimento un’occasione. Quindi direi un’attitudine assolutamente positiva alla vita, partendo dal presupposto che la vita ci vuole sempre bene e che anche le cose più difficili e drammatiche che possono succedere in realtà accadono per insegnarci qualcosa.”

“Di quali divi del rock parlerai durante lo spettacolo?”

“Lo spettacolo non è un reading. Parlerò degli U2, ci sarà un’intervista impossibile a George Harrison. Più che altro sono gli insegnamenti che mi hanno dato che sono tra le righe dello spettacolo. Quindi non è un reading dove io racconto l’intervista a Roger Waters piuttosto che quella ai Coldplay. E’ un lavoro di introspezione attraverso i pensieri più belli che io ho ascoltato in questi anni e che sono andati a costruire l’impalcatura della mia vita.”