ANTONIO ROMANO, “TI DEDICO UNA CANZONE”

Uno spettacolo su una storia d’amore semplice in una Napoli rappresentata nelle canzoni di Pino Daniele. Un uomo che vive nella costante routine tra casa e fabbrica – ottimista e pieno di speranze – viene colpito da una notizia destinata a sconvolgere la perfezione del suo sereno equilibrio…

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Ti dedico una canzone è in scena al Teatro Martinitt di Milano dal 14 al 30 gennaio. Vincitrice del premio Next 2019, la commedia annovera nel cast l’autore Antonio Romano, Carlotta Ballarini, Antonello Pascale e Maria Sforza. La regia è di Antonio Grosso. Una pièce-tributo, patrocinata da ANMIL-Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro e aderente al circuito Invito A teatro.

Quattro domande ad Antonio Romano

Questa commedia affronta con ironia un problema italiano molto serio: quello delle morti sul lavoro. Da che spunto è partito?

Da una biografia familiare sulla vita di mio padre, che ha lavorato per tanti anni nei cantieri navali della Tirrenia a Napoli. Era operaio in una ditta di manutenzione e la presenza dell’amianto sulle navi era molto forte. Quindi molti lavoratori toccavano questa sostanza tossica e si ammalavano. A mio padre è successo ed è stato fatale.

Il lavoro dà un’identità a un uomo e lo rappresenta. In questo caso invece annienta ogni progetto e realizzazione di concretezza. Giusto?

Esatto. La vicenda si svolge negli anni Settanta e Ottanta. A quell’epoca il posto fisso e l’assunzione a tempo indeterminato erano una consacrazione, un fatto molto importante per chi non aveva un titolo di studio come mio padre. Per lui era come lavorare in banca o al ministero. Infatti ha sempre svolto il proprio mestiere con dedizione e voglia di portarlo avanti mantenendo la famiglia. Ha scoperto di essere vittima di una malattia causata dalla propria azienda, ma per lui era impensabile denunciare quella stessa azienda che lo aveva fatto lavorare per tanti anni. Ha scelto di non querelare i datori di lavoro perché non lo sapevano neanche loro.

Quali sono gli aspetti caratteriali che contraddistinguono di più i protagonisti?

Maria Sforza ha il ruolo di mia mamma, una casalinga senza titolo di studio, che negli anni Ottanta doveva soltanto occuparsi dei figli e della casa. Quindi è un personaggio circondato dalla monotonia quotidiana. Antonello Pascale è mio fratello, un nullafacente che non vuole nemmeno sentir parlare di lavoro, perché lo considera un obbligo. Il suo unico obiettivo è divertirsi. Fa solo lavoretti per guadagnare qualche soldo e non affronta invece la vita come faceva mio padre. Carlotta Ballarini ha il ruolo di una vicina pettegola e usuraia che presta i soldi con interessi. E’ ricchissima e tutte le persone povere vanno a chiederle denaro. Così lei sa tutto di tutti gli inquilini del palazzo.

Come tratta con ironia un argomento così difficile in un’Italia in cui manca ogni tutela per i lavoratori?

L’ironia è quella di mio padre, che ha affrontato sempre con il sorriso la situazione lavorativa e la malattia. Questa è stata la sua grande forza. Quando ha scoperto di essere malato per colpa del lavoro che amava tanto, non si è né abbattuto né avvilito. In questa commedia ho racchiuso il suo stato d’animo, il suo carattere e il suo modo di vivere. L’argomento è forte, ma viene presentato al pubblico con la grande leggerezza tipica della vita di mio padre.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringraziano Federica Zanini e Rocchina Ceglia per la collaborazione
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