Nello spettacolo Il sogno di un uomo ridicolo un uomo ripercorre la propria vita e le ragioni per cui si è sempre sentito estraneo alla società. Ogni interesse, ogni impulso vitale sembra in lui ormai drammaticamente destinato a esaurirsi nel nulla, quando ecco la svolta salvifica presentarglisi in forma di sogno, suggerendogli un’improvvisa quanto inaspettata opportunità di riscatto.
Il sogno di un uomo ridicolo di Fedor Dostoeviskij è in scena dal 30 marzo al 15 aprile al Teatro Out Off di Milano, con la traduzione e l’adattamento di Fausto Malcovati e Mario Sala, presente anche in scena. La regia è di Lorenzo Loris.
Quattro domande a Mario Sala
Siamo di fronte a un testo in cui inizialmente il protagonista fa un bilancio della propria vita?
Sì, assolutamente. Non è un bel bilancio. Il protagonista è un uomo di mezz’età che ha avuto problemi di accettazione da parte degli altri per tutta la vita: è stato preso in giro per il suo presunto aspetto ridicolo, per la sua persona e le sue maniere. Questo lo ha portato progressivamente a escludersi dal corpo sociale e addirittura a ipotizzare un gesto estremo, cioè il suicidio. Qui il racconto diventa fantastico come solo Dostoevskij sa essere, perché quest’uomo, che ha preso la decisione di farla finita, raggiungendo una sera la sua abitazione, fa un incontro che crea le condizioni per un ripensamento. Decide così di rimandare il suicidio sulla base di qualcosa che è avvenuto durante quell’incontro. In questo tempo sospeso l’uomo si addormenta e fa un sogno durante il quale si suicida. Quel suicidio sognato lo porta a conoscere un’altra modalità di vivere.
Perché il sogno rappresenta per lui una possibilità di salvezza?
Perché nel sogno, lui e noi vediamo una vita diversa da quella che siamo abituati a conoscere: un’esistenza dove si può vivere felici rispettandosi serenamente, gioendo gli uni degli altri. Il sogno è così prepotente che, al risveglio, l’uomo ne è talmente condizionato da decidere di ritornare a vivere, allontanando quindi ogni idea di suicidio e decidendo di proclamare all’umanità la possibilità di una vita piena e felice così come lui l’ha vista nel sogno.
E’ un racconto molto interessante, se consideriamo anche le tematiche di Dostoevskij e della sua vita. Da giovane, infatti, è finito davanti a un plotone d’esecuzione della polizia zarista e si è visto puntare addosso un’arma. Solo all’ultimo istante è arrivata la grazia. Lui ha visto quell’ultimo momento finale a cui ha assistito anche l’uomo ridicolo in cui lo ucciderà la pistola. E’ qualcosa di vicino a Dostoevskij anche dal punto di vista biografico e soprattutto l’idea che passa da questo racconto è serena, felice, pacifica, sta bene e non conosce la violenza dei rapporti.
Sempre all’interno del sogno succederà che quest’idea di umanità serena che l’uomo incontra verrà contaminata dalla sua presenza aliena, perché lui arriva dal pianeta che conosciamo, dove i rapporti non sono così meravigliosi e idilliaci come nel sogno. Lui è quindi un po’ come un virus, come qualcosa che infetta quel mondo e gli trasmette il male. Il fatto però di aver visto il bene lo porterà comunque a rivedere tutta l’impostazione della propria vita e del suo stare al mondo, e quindi a raccontare la sua esperienza a tutti, nella convinzione che la felicità sulla Terra sia possibile e che l’amore salverà l’universo, che è l’ultima frase con cui lui chiude la sua visione e la trasmette ai posteri.
Dostoevskij ci parla dell’importanza di avere un’utopia anche oggi?
Assolutamente sì e anche di credere nelle utopie, perché vengono considerate come una cosa tipica di persone senza concretezza, che non sanno stare al mondo e che ignorano cosa sia la vita vera. Sono ritenuti sognatori e artisti. Questo però non è vero perché un’utopia di pochi magari rimane tale, ma quella di tanti diventa un progetto che contiene il germe di una possibile realizzazione.
Domenica sera, durante “Che tempo che fa”, Fabio Fazio ha detto che mai come in questo momento, dato quello che sta succedendo in Ucraina, è importante leggere o rileggere Dostoevskij. E’ d’accordo?
Certo. Essendo un racconto che ha scritto nell’ultima fase della sua vita, contiene molti temi della sua opera. Uno degli argomenti centrali è proprio il modo in cui il male si insinua nell’uomo, come espellerlo dal corpo sociale ragionandoci sopra insieme e come trasformarlo.
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringrazia Ippolita Aprile per la collaborazione
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