Una grande amarezza e il tentativo di addolcirla con il pretesto di una grandiosa incazzatura. Un padre e un figlio: un rito. Una domanda sospesa: dov’è la salvezza? Un’ipnosi, una firma e un raggiro. Poi giorni kafkiani, inquietanti dialoghi con funzionari di banca, notai e assicuratori. Infine una lettera tra adulti. Salvobuonfine è in scena al Teatro della Cooperativa di Milano dal 18 al 21 ottobre. Ne è autore e protagonista Lorenzo Bartoli.
Quattro domande a Lorenzo Bartoli
“Di che cosa parla questo spettacolo?”
“I temi sono abbastanza, ma a dispetto del titolo può sembrare che parli solo di banche e che sia una critica verso le banche. In realtà è un pretesto per parlare di rapporti tra padri e figli. Cerco di universalizzare la cosa e di rendere il discorso tra padre e figli, ma nasce da un’esperienza privata della mia famiglia e il succo è che parla di mio padre. E’ venuto a mancare improvvisamente. Lui aveva una ditta e la cosa che ho trovato abbastanza disumana è dare la priorità a cercare di risolvere delle questioni con le banche e rientrare coi soldi già dal giorno successivo, quindi in qualche modo le lacrime devono aspettare. Il dolore deve aspettare perché prima ci sono delle cose più impellenti. E’ una scala di valori in cui un figlio si ritrova a essere grande in un botto, quindi prende degli schiaffoni dal mondo reale.”
“Perché c’è una grande amarezza di fondo?”
“Perché la grande amarezza nasce da un lutto.”
“Che cosa rappresenta la lettera tra adulti?”
“E’ una lettera tra un padre e un figlio abbastanza virtuale, nel senso che il padre non c’è più ma è la prima volta che il figlio, essendo diventato adulto, si rapporta con il padre da pari. Non più da figlio a padre ma da uomo a uomo.”
“Cosa significa modellare da artigiano l’esistenza?”
“E’ una dedica al mio babbo. Fin quando il padre c’è i rapporti sono buoni ma a volte tormentati, difficili e fatti di silenzi e imbarazzi. Nel momento in cui il padre non c’è più mi sono accorto di che cosa posso prendere e delle cose belle che aveva mio padre: il fatto che lui abbia dedicato una vita al proprio lavoro con passione. Lui era un artigiano e aveva una grande caparbietà che tuttora mi risuona. E’ come se mi spronasse nei momenti difficili, perché so bene che in qualche modo nella sua vita non si è mai pianto addosso. E’ un insegnamento che adesso con il filtro della lontananza e del non esserci più sento ancora maggiormente. E’ come creare un paradiso alle persone che non ci sono più. Il paradiso è nella testa di chi rimane. E’ ciò che posso prendere a modello da lui.”